venerdì 26 luglio 2019

Riflessioni sarzanesi (2)


Requiem in Re minore
di Oscar Montani

Riflessioni critiche di Carmen Claps

Parte prima
Il romanzo ha una struttura particolare e questo non stupisce affatto che conosce almeno un po’ la produzione del nostro autore che non adotta mai una narrazione lineare, scolastica, banale. In quest’opera possiamo dire che si vengono a creare come dei cerchi concentrici o meglio delle spirali (immagine molto cara ad Oscar). Il fatto è questo: Corto e la sua corte sono riuniti per festeggiare il compleanno di Berto: è il 29 giugno 2011. La festa, esattamente due anni prima, era stata interrotta dalla tragedia dell’incendio scoppiato alla stazione ferroviaria di Viareggio il 29 giugno 2009. Con questo romanzo Oscar intende fare memoria e rendere omaggio alle vittime di quel disastro. Lo fa nel modo migliore e cerco di spiegarmi. A distanza di due anni Corto ricorda agli amici quegli attimi terribili; intanto geniale l’idea di raccontare i fatti non in diretta, ma attraverso la lucidità che può dare la memoria. Il nostro autore è grande nel descrivere quell’apocalisse: è un coinvolgere in pratica quasi tutti i nostri sensi. Prima di tutto la vista: bagliori strani che incendiano il cielo, ma non sono fuochi artificiali per festeggiare l’estate appena iniziata. Poi l’udito, lacerato da scoppi non definiti e non definibili, perciò ancora più inquietanti e subito dopo l’urlo delle sirene dei mezzi di soccorso e delle forze dell’ordine. Infine l’olfatto, con un insopportabile fetore di bruciato. Questa tragedia resta costantemente sullo sfondo della storia; il nostro autore la tratta senza ipocriti pietismi, senza toni inutilmente melodrammatici che pure sarebbero stati facili per lui e di presa sul lettore. Oscar descrive la situazione con partecipata lucidità o con lucida partecipazione, il che è la medesima cosa: scegliete voi.


La storia parte proprio dal giorno della tragedia alla stazione di Viareggio. Due giorni dopo al mattino, in un panorama surreale, Corto con Geco è su un elicottero a perlustrare la zona del disastro. Ad un tratto avvistano un pianoforte a coda alla deriva a pochi metri dalla spiaggia. Splendida citazione, splendido omaggio a “Novecento”, il romanzo di Alessandro Baricco. Oscar ama fare citazioni, porgere omaggi a capolavori dell’arte, di qualsiasi arte e il recuperarli tutti è un’affascinante, eccitante caccia al tesoro. Una volta tirato a secco, il pianoforte riserva un’agghiacciante sorpresa: nella cassa armonica è stato nascosto il corpo di una donna, presumibilmente giovane, con la testa orribilmente bruciata. A distanza di due anni, quando Corto ricorda agli amici quei momenti, le forze dell’ordine e gli inquirenti non sono ancora riusciti a fare luce su quel caso: l’identità della donna e le cause della sua morte sono ancora sconosciute. Toccherà ancora una volta al nostro skipper, o meglio ex skipper, mettersi all’opera per far luce su quel caso. Si verificheranno altri delitti efferati, come lo sono, come lo devono essere, tutti i delitti che si rispettino nei romanzi e nei film. Corto avrà a che fare con un misterioso, inquietante personaggio che segue, che accompagna e che, da un certo momento in poi, addirittura precede le sue mosse. Il nostro protagonista correrà anche i suoi bei rischi, subendo violente aggressioni, a riprova del fatto che è sulla strada giusta per arrivare alla verità. Lo scioglimento della vicenda avviene in una scena memorabile.


Da quanto detto è possibile intuire che questo è un romanzo corale per due motivi. Prima di tutto il protagonista non è un investigatore solitario, come Marlowe. Corto si avvale della collaborazione di un gruppo di amici e questo fatto lo accomuna agli altri tre investigatori creati da Oscar. Il gruppo di Corto è quanto mai eterogeneo e anche bislacco, ma altrettanto efficace. Ognuno ha il suo incarico specifico in base alle sue inclinazioni, alla sua specializzazione. La scena finale è sempre il trionfo della coralità. Secondo motivo da queste pagine viene fuori il quadro completo di una comunità, un’intera città, Viareggio, con i suoi svariati aspetti, con un’attenzione speciale al cosiddetto sottobosco.


Tanto per cominciare, Corto e i suoi ci conducono alla darsena (nella foto la famosa statua della Madonnina bianca), luogo estremamente reale e concreto, ma che il nostro autore ha la capacità di rendere mitico. Infatti il lettore non entra mai in questo ambiente, lo vive attraverso i racconti dei personaggi e questo è uno splendido stratagemma per renderlo ancora più interessante ed inquietante. Assume, insomma, il fascino della “Città proibita”, di un luogo cui non a tutti è concesso accedere. La darsena è il luogo dove puoi trovare e sapere tutto e il contrario di tutto. Ancora, è inevitabile trovandoci a Viareggio, la Cittadella del Carnevale, altra miniera di informazioni. Notevole ruolo ha la malavita organizzata nella persona di Biscarino, un boss che gestisce ricettazione, riciclaggio, prostituzione, spaccio e ogni altra attività criminosa in lotta feroce contro la mafia russa. Efficacissima la descrizione dell’ambiente in cui vive e opera questo boss, una residenza super blindata, nella quale è difficilissimo entrare, vista la sorveglianza dei suoi armatissimi gorilla, ma ancora più difficile uscirne in condizioni fisiche accettabili. Tanto per dare un’idea, Biscarino è il tipo che si diverte a far espiantare tatuaggi a chi ha sgarrato per poi incorniciarli come macabro trofeo. Eppure anche questo boss dà una mano fondamentale al nostro investigatore.

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