Delitti a porte chiuse
non spiare a quella porta!
Parte 3
Edgar Allan Poe e il primo racconto della “camera chiusa”
I delitti della Rue Morgue di E. A. Poe,
pubblicato nell’aprile 1841 sul Graham’s Magazine di Philadelphia, è
considerato la prima “camera chiusa”. Tutto inizia da un articolo di giornale.
Il protagonista, il Cavaliere Auguste Dupin, leggendo un articolo su La Gazette
des Tribunaux, che descrive il ritrovamento dei cadaveri di Madame L’Espanaye e
della figlia in una casa della Rue Morgue, s'incuriosisce. Decide d'indagare, in accordo con la polizia
che brancola nel buio, e riuscirà a svelare
il mistero di un delitto impossibile: la
camera è completamente isolata dall’esterno, tranne che per un camino, troppo
stretto perché vi possa passare un uomo.
Con questo racconto, Poe inventò un nuovo genere letterario,
il poliziesco, e allo stesso tempo un suo sottogenere, quello dell’enigma
della Camera Chiusa.
Di conseguenza la nascita del poliziesco coinciderebbe con
la nascita dell’enigma della camera chiusa. In realtà non è proprio così.
Esistono, oltre ai due casi storici citati, altri dei precedenti. Ma come fa
l'autore a confezionare la storia?
La ricetta narrativa è semplice. Si prende un morto e lo si
piazza in modo che, praticamente, nessuno possa averlo assassinato. Particolari
che accrescono il mistero: quanto basta!
Gli ingredienti a contorno di una simile trama, rivenduta
all’epoca come moderna enigmistica pura, venivano da lontano. Dal tenebroso e
inquieto e perverso popolare del romanzo d’orrore gotico; e si era diffusa poi,
in modo virale, nei pamphlet a dispense che alla fine del secolo distribuivano
emozioni sensazionali.
Secondo accreditati storici della letteratura di genere
giallo (ma non fidatevi troppo degli accademici!), l’invenzione dell’enigma
della camera chiusa spetterebbe a Sheridan Le Fanu. Nel 1838, scrisse il
racconto gotico A Passage in the Secret History of an Irish Countess
(pubblicato anonimamente sulla Dublin University Magazine: anche lui
accademico?). In questo racconto, un uomo viene trovato morto, apparentemente
suicida, dentro ad una stanza impenetrabile e chiusa a chiave dall'interno.
La porta è chiusa a doppia mandata dall’interno e, a rafforzare
il concetto del fatto, la chiave è ancora infilata nella serratura.
La finestra, anche se non è stata bloccata all’interno, è chiusa: un
particolare sconcertante per un normale detective, visto che non esistono altre
vie di uscita dalla stanza oltre alla porta. La finestra si affaccia su un cortile intorno al quale sorge l’abitazione. A questo cortiletto un tempo si arrivava
mediante un’arcata e uno stretto passaggio che si trovavano nella parte più
vecchia del quadrangolo, che però successivamente erano stati chiusi per
precludere ogni via di ingresso e di uscita.
Non è finita: bisogna esagerare! La stanza si trova al secondo piano, e l’altezza della finestra,
per giunta, è considerevole; infine, il davanzale di marmo è troppo stretto per
consentire a qualcuno di passarvi sopra, se la finestra è chiusa. Vicino al
letto sono rinvenuti trovati due rasoi di proprietà del morto, uno dei quali
per terra, ed entrambi sono aperti. L’arma con cui erano sono inferte le ferite
non è nella stanza, né vengono trovate orme di piedi o altre tracce
dell’assassino.
Come avrete inteso A Passage in the Secret History of an Irish
Countess propone un vero e proprio enigma della stanza chiusa, tre anni
prima de I delitti della Rue Morgue. Il racconto di Le Fanu, però, non è un vero
poliziesco, fa piuttosto parte, con tutta una collezione di elementi
inquietanti, del genere horror
psicologico.
Come vedete non c'è da fidarsi degli accademici: sono sempre
in gara tra loro e spesso, troppo spesso, fanno a chi la spara più grossa. Alla
prossima!
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