sabato 25 aprile 2020

ΕΙΚΟΝΕΣ II° ed. I LABIRINTI

I labirinti di
ΕΙΚΟΝΕΣ
Il labirinto della Medusa
éffigi  editore (C&P Adver)





NEL LABIRINTO DEI LABIRINTI

Con la seconda edizione del romanzo EIKONEƩ (Il labirinto della Medusa) ho voluto evidenziare, fin dalla copertina che il filo rosso che attraversa tutta la vicenda si dipana attraverso labirinti. Anche se fino poche pagine dalla fine non sembra è anche quello un filo di Arianna. Nei primi capitoli viene svolto e poi Corto lo riavvolge in gomitolo.

postilla alla recensione di EIKONEƩ

di Carmen Claps

In EIKONEƩ il tema del labirinto è talmente importante che credo meriti una postilla dedicata.


Nell'immagine sopra vediamo Istanbul rappresentato come labirinto. Istanbul non è un labirinto solo, ma due. Quello alla superficie che ha nel Gran Bazar il nucleo dinamico e quello sotterraneo.


I dedali del sottosuolo, che erano anche canali idraulici convogliano storia e acqua nella grande cisterna. Nel punto più basso, da dove si diramano molti cunicoli si possono ammirare due grandi teste di medusa: una rovesciata e una appoggiata di lato. Una dorme e l'altra ci ricorda che un labirinto può sovvertire l'ordine…

Leggiamo cosa scrive Carmen Claps.
Cominciamo col fare una precisazione: in psicanalisi, il labirinto è uno dei tanti simboli dell’inconscio: il diretto interessato ci si perde senza scampo; invece, chi lo osserva dall’ esterno, possibilmente dall’alto, può studiare il tutto con calma, con freddezza. E’ un po’ come Ariosto (e il suo lettore), che si diverte a osservare e a commiserare i miseri mortali che si affannano e si rincorrono vanamente nel magico castello di Atlante.

Ma torniamo a noi. Il motivo del labirinto ci accompagna passo, passo per tutta la vicenda. Oscar Montani lo tratta in modo magistrale, sempre vario, quindi senza mai annoiare il lettore, anzi interessandolo e sorprendendolo sempre. Pensate che il labirinto compare proprio nelle primissime pagine: Corto, il nostro protagonista, sta raccontando al suo amico Fathim dell’ultimo caso, dell’ultimo mistero in cui è attualmente coinvolto e la butta lì come per caso, come fosse una delle tante efficaci immagini cui il nostro autore ci ha abituato: “Mi ero ficcato in una specie di labirinto. Facile entrare: non me ne ero accorto nemmeno. Quando avevo capito d’ esserci dentro era tardi per uscire: ora che mi ero perso, avrei ritrovato la via d’uscita solo ritornando indietro, fino all’inizio. Soprattutto dovevo capire quando avevo varcato l’ingresso” (p.12).


A questo momento, vi ripeto, non sappiamo ancora di trovarci di fronte al tema cardine del romanzo. Invece possiamo dire che praticamente ogni colpo di scena, ogni momento significativo della vicenda è sottolineato dalla presenza del labirinto. 


Sembra quasi che questo elemento sia portatore, sia occasione, sia simbolo di eventi infausti o criminosi, così come ne “L’oro degli aranci” lo è la spirale. Dove c’è il male c’è il labirinto, dove c’è il labirinto c’è il male. Intanto, abbiamo conosciuto il labirinto più insidioso, quello psicologico, quello di cui Corto sente prigioniere le sue facoltà intellettive da quando ha intrapreso quell’indagine e dal quale sa benissimo che potrà uscire solo risolvendo il complicatissimo caso in cui si è imbattuto, un caso, se vogliamo, “a labirinto” perché ha mille direzioni, mille vie e trovare la soluzione, l’uscita sembra impossibile. In proposito gli danno consigli molto profondi due amici. Il primo è Fathim, che, per uscire dal labirinto, gli suggerisce letteralmente un colpo d’ala: “Corto, è troppo tempo che non voli. Tu sei un albatros, devi raggiungere i gabbiani, andare ancora più in su, volare più in alto di loro. Dall’alto vedrai tutta la foresta, dominerai il labirinto e non sarai più confuso. Corto, vola!” (p. 229). A proposito, Fathim è strettamente collegato al motivo del labirinto, infatti, grazie alle sue acute osservazioni e domande in merito al caso, insomma al suo metodo un po’ “maieutico” Corto può dirgli a buon diritto: “Tu sei il mio filo di Arianna”. Il secondo è un maestro sufi, che si rivolge a lui con toni molto elevati, tipici di un asceta: “A te non interessa l’oro, vuoi solo la verità. La verità è la chiave per aprire la porta che ti farà uscire dal labirinto” (p.304.


Vi dicevo che i labirinti sono diversissimi l’uno dall’altro per età di costruzione, per finalità, per materiale, per collocazione geografica. Quindi il nostro autore ci ha dato, senza volerlo e senza che noi ce ne accorgessimo, una lezione memorabile sul labirinto, ci ha dimostrato che da sempre l’uomo ha nei suoi pensieri, nelle sue fantasie, nei suoi incubi questo elemento.
Nel romanzo, il primo labirinto che incontriamo è quello ai giardini Puskin di San Pietroburgo, un labirinto fatto di siepi di bosso. Corto è a San Pietroburgo per conto del suo capo per verificare lo stato di una nave, l’Eikon, che il Gentileschi intende acquistare. Corto lo visita insieme ad Anhja , enigmatica guida russa e Rampino, altrettanto enigmatico ex ladro greco (ma sarà poi davvero ex?). Il nostro autore è talmente abile che basta la vista di un labirinto per evocargliene un altro. Infatti, appena si trova davanti agli occhi quel labirinto di siepi, subito rivede nella mente il labirinto gelato del film “Shining”, in cui è ambientato quell’angosciante inseguimento. Anhja ci mette del suo: racconta un episodio accaduto in quel labirinto Puskin. Ve lo lascio gustare attraverso una lettura personale e vi raccomando molta attenzione. Qui vi dico solo che c’è anche un riferimento al secondo labirinto di Kubrick: i lunghi corridoi dello sconfinato e desolato hotel Overlook, in Colorado.

Tanto per tirare un attimo il fiato, c’è un labirinto meno angosciante, anzi, descritto in modo decisamente poetico ed è quello formato dalle stradine di Lucca, che noi vediamo animarsi nelle ore mattutine, nei tempi passati per bocca del nonno di Corto e attualmente da Corto stesso.
Purtroppo la sosta è davvero breve: nel nostro romanzo il labirinto ha sempre la solita accezione inquietante, angosciante e non potrebbe essere altrimenti. Siamo sempre a Lucca, ma non è più l’atmosfera attiva, quasi gioiosa del risveglio: è un mezzogiorno assolato, assonnato. Corto è stato convocato, con il suo secondo, Joseph Perinod, dal grande capo Gentileschi, come sempre prima di una crociera importante, per le raccomandazioni di rito. In piazza San Martino, assiste all’agonia di Rampino, che muore accoltellato, ma ha giusto il tempo di avvinghiarsi a una colonna del porticato e di fare misteriosi segni con il suo sangue su un labirinto che è tracciato su di essa.
Di tutt’altro genere è il labirinto in cui Corto si perde e si rifugia nello stesso tempo ad Istanbul ai cantieri Tuzla, dove si è recato per fare indagini sulla morte di Rampino. Questo è un labirinto che si è formato del tutto casualmente per l’ammasso di containers. Quindi, altro colpo di genio del nostro autore, che qui accosta un elemento antico quanto l’uomo a qualcosa di assolutamente moderno. Come vi annunciavo, nel labirinto Corto si perde, anche perché la scena si svolge in piena notte (è una scena ad altissima tensione, degna del miglior poliziesco) però questo labirinto, in qualche modo, gli serve anche come via di fuga, grazie anche al provvidenziale intervento di un misterioso guerriero ninja, che gli salva la vita dall’aggressione di quattro energumeni.

Da un labirinto “contemporaneo” al labirinto per antonomasia, cioè a quello di Creta, dove Corto accompagna i suoi croceristi. L’esperto in archeologia di turno, un professore naturalmente tedesco, smitizza senza pietà quel labirinto: ci spiega che non era una costruzione intenzionale, ma edifici via, via eretti intorno alla reggia, che erano diventati una sorta di alveare, edifici attorno ai quali era diventato un problema orientarsi. Da qui l’idea del labirinto. C’è, invece, un labirinto nelle grotte di Gortina e Corto si trova a dover esplorare anche questo: altra scena mozzafiato, con il nostro che corre i suoi bravi rischi.
Nel frattempo, non dimentichiamo mai il tarlo del protagonista, cioè quello di scoprire quando è entrato nel suo personale labirinto, perché sa che solo risalendo a questo potrà trovare la via d’ uscita.

Per offrirci un panorama il più completo possibile sui labirinti, Oscar trova il modo di citare, en passant, Hedge Maze, il labirinto che si trova ad Hampton Court, dedicato a Guglielmo d’Orange che, con i suoi più di 200.000 mq., è il più grande d’Europa.

Un ultimo labirinto attende il nostro protagonista, appunto quello in cui si scioglie l’enigma, sono i sotterranei di Istanbul. Anche in questo episodio, l’autore è abilissimo perché descrive i momenti immediatamente precedenti all’esplorazione di questi sotterranei con toni leggeri, ironici, oserei dire comici, come sempre quando è presente in scena Fathim. Poi, una volta raggiunto il labirinto l’atmosfera e, di conseguenza, il tono cambia totalmente: non si scherza più. Occhi sgranati, orecchi tesi e poi agguati, inseguimenti, coltellate, speranze, delusioni, come sempre colpi di scena e non si può interrompere la lettura fino alla conclusione dell’episodio.
Proprio nei sotterranei di Istanbul si chiarisce il mistero; Corto risale finalmente al momento in cui è entrato in quel maledetto labirinto e, quindi, può dire: “Ero finalmente uscito dal labirinto”. Lo dice certo con un sospiro di sollievo, ma, ripensando a tutta la vicenda, anche con una certa amarezza. Significativamente e non a caso, da questo momento in poi, nelle le poche pagine che ci separano dalla parola fine, non incontreremo più l’immagine costrittiva ed angosciante del labirinto, se mai quella infinita e libera del mare, l’elemento naturale per il nostro protagonista: Corto finalmente “E’ tornato a casa”.

(Carmen Claps)


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