domenica 26 aprile 2020

CUOCOINDAGA (13)


Quando il cuoco
indaga

storie conviviali  
per ragazzi d'ogni età
offerte da
Oscar Montani
(13)
Sette
Antipasto di salumi


Ectoplasmi didattici
Fuori nevicava: inutile possedere un balcone!. Non sapevo che fare: con quel tempo non mi andava di uscire per fare la spesa. Il Bestia ritornando dal bagno vivacizzò la serata dando la ferale notizia.
 « M'è scappato i’ gatto! »
Samantha balzò in piedi.
«  Noir è scappato? Come hai fatto? Da dove? »
« Dalla finestra di del bagno, l'avevo aperta per non far cattivo odore, non avevo visto che si era nascosto nella cabina doccia! ... Forza bambini dovete andare a cercarlo.»
Mi guardò i piedi.
«  Corto, visto che hai codesti scarponcini, sono adatti… li accompagni tu? Ah mettetevi le mascherine! ».
Lucie rise.
« Sì, facciamo finta che sia carnevale! ».
Appena i bambini si furono trasferiti tutti nell’ingresso, dove avevano i giacconi, Gianfranco si confessò con un sussurro.
« L'avevo visto, ma ho aperto la finestra lo stesso... non pensavo che saltasse giù... un cane non l'avrebbe fatto! ».
« Peccato che sia un gatto! ».   
Si era accorto della mia rabbia.
« Un’ mi guardare in codesto modo, mica l’ho mangiato, gli ho solo dato un po’ di libera uscita, povero gatto, era tanto agitato, raspava sul legno della finestra, dava testate al vetro… poteva anche sfondarlo! Quando mi sono avvicinato mi ha azzannato la manica del golf, la tirava e miagolava minaccioso… mi ha fatto paura! Poi, tornato sul davanzale, s’è messo a miagolare dolcemente, come se cercasse di rispondere a qualcuno che lo chiamava… si vede che qualche gatto da fuori lo invitava a camminare sulla neve… magari una fidanzata. Dai, nero com’è, sulla neve lo vedrete subito, ma… oh,  riportali subito dentro che se trovate uno tignoso, visto che siete senza cane... e anche senza gatto... per ora!   ».
Uscendo scossi la testa.
« Spero per te che si ritrovi, se no racconto tutto ai ragazzi! ».
Non nevicava più, solo qualche fiocco, illuminato dal cono di luce dei lampioni, vorticava sospeso nell’aria. Il cielo, come morbida opaline, diffondeva una tenue luminescenza giallognola. Tutto, intorno, veniva rischiarato dal pallido riflesso: ombre sfumate lambivano le cose. L’assenza di qualsiasi contrasto e i rumori ovattati rendevano il paesaggio irreale, quasi spettrale. Sentivo i crepiti dei nostri passi incerti che schiacciavano la neve; inquieto cercavo di orientarmi, ma senza poter percepire la profondità non riuscivo a valutare le distanze.
Mentre Samantha chiamava Noir si procedeva in silenzio, cercando di cogliere eventuali miagolii, su un passo pedonale che separava i giardini di due file di case. Quasi al termine della stradina trovammo impronte di gatto, almeno così le identificò Samantha.
« Sono di Noir. Ma che si fa? Vedete qui ha girato intorno più volte e più avanti ci sono due tracce doppie… »
« Che vuol dire? »
« Che è andato avanti e indietro, ma non si capisce qual è la traccia più fresca… alla fine della strada dobbiamo dividerci! »
« Calma, non dobbiamo perderci di vista… se no ci scappa. Bisogna essere tattici!  Si fa una manovra di accerchiamento, così: Samantha va a sinistra e io la seguo a distanza. Lucie va a destra e Mirko la segue a distanza. Quando, voi bambine, entrate nelle altre stradine, parallele a questa, che ci sono da tutte e due le parti, io e Mirko ci fermiamo in cima per poterci vedere e farci dei segnali: così siamo sempre in contatto, chiaro? Quando voi due  arrivate in fondo alla vostra strada non andate oltre, se no vi perdiamo di vista; date solo un’occhiata e tornare indietro... Ah, se vedete il gatto fatecelo capire… arriviamo tutti e lo circondiamo. Ok?»
Ci mettemmo in azione secondo il piano. I bambini stranamente ubbidienti e motivati si muovevano facendo il verso alla Pantera rosa. Dopo un po’ io, stando in cima alla stradina, controllavo Samantha. Mirko, come previsto sorvegliava attento dall’altra parte. Vedevo Samantha procedere cauta, salire sui muretti attaccandosi alle ringhiere, scrutare nei giardini e, ogni tanto, chiamare dolcemente Noir.
Ad un certo punto, sarà stata a cinquanta metri da me, si fermò davanti a un vecchio cancello di ferro. Sembrava parlasse con qualcuno, faceva gesti eloquenti come descrivesse il gatto, ero sicuro di udire la sua voce gentile. Samantha si girò verso di me e mi fece cenno di aspettare, di non muovermi. Si avvicinò al cancello e l’aprì, cigolava. La chiamai. Lei si voltò ancora e, con fermezza, ripeté il segnale: “non temere, è tutto ok, l’ho trovato, aspetta lì!”. Questo almeno è quello che mi sembrò di capire.
Fece due o tre passi verso la casa, poi si fermò e si rimise a parlare sciolta. Solo per un attimo si grattò ripetutamente la testa, come se le avessero fatto delle domande difficili. Il colloquio durò qualche minuto poi la bambina avanzò sicura nel giardino ed andò a destra, verso un casotto, forse un garage, non vedevo bene. Camminando ogni tanto si voltava verso una finestra con la persiana aperta: dal mio punto di vista non vedevo nessuno, ma ero lontano. Mi sentivo teso, agitato. Non volevo perderla troppo di vista. Feci cenno a Mirko di far tornare indietro Lucie e di venire da me.
Come sempre, quando un gioco finisce, i bambini diventano lenti: forse comprendono che tornare alla realtà, alla fine di un gioco, li farà crescere un po', allora cercano di rallentare il tempo. Mirko e Lucie, avevano capito che tutto era risolto e se la presero con calma. Provarono anche a tirarsi qualche palla di neve: chissà perché fino allora non era venuto in mente a nessuno?
Mi furono accanto dopo diversi minuti. Si vedeva, erano delusi; io invece ero sempre meno tranquillo. A passo svelto andammo tutti e tre verso il cancello del giardino dov’era si era infilata Samantha. Prima che ci arrivassimo, da una diecina di metri, la vidi che si avviava all’uscita. Il giardino doveva essere incolto, il manto di neve era molto alto rispetto al vialetto centrale: sotto c’era erba alta. La casa aveva un aspetto sinistro, l’intonaco giallognolo – “ma non sarà questa luce strana?” - nonostante il “buiccio”, appariva scrostato. Una doccia penzolava pericolosamente su il lato sinistro e qualche persiana aveva perso più di una stecca e non c’era neppure una finestra illuminata. 
Samantha era sorridente, la seguiva, facendo strani balzi all’indietro, il gatto nero. Sembrava giocasse con un compagno, un gatto invisibile, “Questi felini sono imprevedibili” pensai. La bambina, attraversando il cancello, mi fece un cenno soddisfatta. Si voltò indietro, dolcemente prese in braccio il micio e, dopo aver atteso qualche secondo, riaccostò il cancello: sentii un cigolio stridente che mi fece allegare i denti.   Sempre rivolta all’indietro, con la mano, salutò più volte qualcuno. Appena fu tra noi, Mirko le chiese spiegazioni.
« Chi salutavi? »
« Zitti, zitti! Dobbiamo andare via alla svelta, se no ci viene dietro il  gatto della signora,    giocava tanto volentieri con Noir. Ho richiuso il cancello, ma non si sa mai, si arrampicano! Non voglio che lei lo perda: è tanto vecchia e stanca, con questo freddo come farebbe a cercarlo! »
Non avevo visto il gatto e nemmeno la vecchietta.
« Hai incontrato una signora? »
«  Corto, ti ho detto di stare zitto. Quando siamo in casa ti spiego tutto. »
Il Bestia, che si sentiva in colpa, ed aveva paura delle mie ritorsioni, nell’aprire la porta, gioì.
« Che bello: l’havete ritrovato! ».
« Sì, giocava col gatto bianco di una signora, dentro una casa proprio qui dietro. »
Il Bestia impallidì. Balbettava.
« Un gatto bianco?... »
« Sì, come il latte, pareva trasparente… sulla neve si vedeva poco… ma Noir ci giocava lo stesso. »
« E… com’era questa signora? »
« Vecchia, vecchissima… alta e magra coi capelli lunghi, lunghi che sembravano i fili d’argento dell’albero di Natale. »
Mirko voleva riprendere a giocare. Samantha, scosse il capo.
« No, so  io cosa fare. Zio Gianfranco deve raccontare una storia,   me l’ha suggerito la vecchia signora. "Lui", ha detto "deva raccontarla, per pagar pegno della sua marachella!"... zio che le hai fatto alla signora? ».
«Io, niente! Che storia? ».
Una storia che sai e che parla   antipasti: una storia di affettati che tu conosci bene! »
Il Bestia era sbiancato e ancora più agitato. Sudava freddo.
« Affettati, come fa a sapere… ma chi è quella vecchia? »
Samantha, fece la faccina.
« Non lo so, ma secondo me è una maestra ».
Gianfranco impallidì ancora di più, sembrava un pupazzo di neve. Credette bene di raccontare.
Affettati misti di collina

Ero ragazzo, forse solo un po' più grande di voi. D'estate, in agosto mio padre, come ogni anno, ci portò a passare una "settimana di fresco" a Gombitelli.
Si prendeva una camera, dove si dormiva stretti, ma con la finestra aperta col fresco della notte e senza zanzare non era come stare al Terminetto. Ci affittava la camera Angiò, della gloriosa famiglia Triglini. Angiò mandava avanti una pizzicheria già allora famosa, almeno in Versilia, dove vendeva i salumi da lui prodotti nel laboratorio dietro casa.
Di sera apparecchiavano quattro  tavolini: noi si cenava lì. Eccetto il mercoledì che la pomeriggio, come tutti, chiudevano. Ma io non lo sapevo...
La Famiglia Triglia, lo so può apparire strano, era famosa per i salumi che confezionava nel laboratorio dietro casa.  Probabilmente il nome non aveva nulla a che fare col pesce omonimo, e aveva avuto origini molto precedenti alla data impressa nello stemma, in bella mostra sopra la porta della pizzicheria:  tre Astri e banda passante. Sovrasta l'arco d'ingresso della loro  casa e bottega in paese.
Fra le varie ipotesi, considerando che la Triade era costituita da Sole, Luna e Venere, il cognome potrebbe derivare, appunto,  da tre astri. La zona  fu popolata dai romani e lo stesso nome di Camaiore, di cui Gombitelli è frazione, significa "Campus Major". E' probabile quindi che l'appellativo  Tre Astri, o Tri Astri, col tempo sia diventato Trja,  per poi arrivare all'attuale ramo minore Triglini. C'è chi sostiene che in origine foose addirittura proprio Triglia, ma erano fantasie di pescatori di trabaccola...
Soprattutto lo rendeva  improbabile la tradizione della famiglia: la sopraffina lavorazione del maiale tramandata nei secoli da padre in figlio, da nonno a nipote. Dal lardo, allora prodotto povero indispensabile per il sostentamento, al famoso prosciutto, aria buona e passione rendevano i salumi artigianali  dei Triglia semplicemente unici. Li portavano in tavola convinti di farti gustare sapori genuini, incontaminati proprio come l'aria di Gombitelli. In famiglia noi li consideravamo magici, era piacevole conversare gustando tutta quella Toscana.
Il mercoledì ero andato a giocare da Giovanni, che abitava in un cascinale fuori del borgo. Di solito i miei, di cultura contadina, pranzavano alle sette e mezzo ed erano già le otto passate. Quando arrivai al negozio, saranno state quasi le nove ed era già buio, ci rimasi male.

(13 - segue)

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