Quando il cuoco
indaga
storie conviviali
per ragazzi d'ogni età
offerte da
Oscar Montani
(13)
Oscar Montani
(13)
Sette
Antipasto di salumi
Ectoplasmi didattici
Fuori nevicava: inutile possedere un balcone!. Non
sapevo che fare: con quel tempo non mi andava di uscire per fare la spesa. Il Bestia ritornando dal bagno vivacizzò la
serata dando la ferale notizia.
« M'è scappato
i’ gatto! »
Samantha balzò in piedi.
« Noir è
scappato? Come hai fatto? Da dove? »
« Dalla finestra di del bagno, l'avevo aperta per non
far cattivo odore, non avevo visto che si era nascosto nella cabina doccia! ...
Forza bambini dovete andare a cercarlo.»
Mi guardò i piedi.
« Corto, visto
che hai codesti scarponcini, sono adatti… li accompagni tu? Ah mettetevi le
mascherine! ».
Lucie rise.
« Sì, facciamo finta che sia carnevale! ».
Appena i bambini si furono trasferiti tutti
nell’ingresso, dove avevano i giacconi, Gianfranco si confessò con un sussurro.
« L'avevo visto, ma ho aperto la finestra lo stesso...
non pensavo che saltasse giù... un cane non l'avrebbe fatto! ».
« Peccato che sia un gatto! ».
Si era accorto della mia rabbia.
« Un’ mi guardare in codesto modo, mica l’ho mangiato,
gli ho solo dato un po’ di libera uscita, povero gatto, era tanto agitato,
raspava sul legno della finestra, dava testate al vetro… poteva anche
sfondarlo! Quando mi sono avvicinato mi ha azzannato la manica del golf, la
tirava e miagolava minaccioso… mi ha fatto paura! Poi, tornato sul davanzale,
s’è messo a miagolare dolcemente, come se cercasse di rispondere a qualcuno che
lo chiamava… si vede che qualche gatto da fuori lo invitava a camminare sulla
neve… magari una fidanzata. Dai, nero com’è, sulla neve lo vedrete subito, ma… oh,
riportali subito dentro che se trovate
uno tignoso, visto che siete senza cane... e anche senza gatto... per ora! ».
Uscendo scossi la testa.
« Spero per te che si ritrovi, se no racconto tutto ai
ragazzi! ».
Non nevicava più, solo qualche fiocco, illuminato dal
cono di luce dei lampioni, vorticava sospeso nell’aria. Il cielo, come morbida
opaline, diffondeva una tenue luminescenza giallognola. Tutto, intorno, veniva
rischiarato dal pallido riflesso: ombre sfumate lambivano le cose. L’assenza di
qualsiasi contrasto e i rumori ovattati rendevano il paesaggio irreale, quasi
spettrale. Sentivo i crepiti dei nostri passi incerti che schiacciavano la
neve; inquieto cercavo di orientarmi, ma senza poter percepire la profondità
non riuscivo a valutare le distanze.
Mentre Samantha chiamava Noir si procedeva in
silenzio, cercando di cogliere eventuali miagolii, su un passo pedonale che
separava i giardini di due file di case. Quasi al termine della stradina
trovammo impronte di gatto, almeno così le identificò Samantha.
« Sono di Noir. Ma che si fa? Vedete qui ha girato
intorno più volte e più avanti ci sono due tracce doppie… »
« Che vuol dire? »
« Che è andato avanti e indietro, ma non si capisce
qual è la traccia più fresca… alla fine della strada dobbiamo dividerci! »
« Calma, non dobbiamo perderci di vista… se no ci
scappa. Bisogna essere tattici! Si fa
una manovra di accerchiamento, così: Samantha va a sinistra e io la seguo a
distanza. Lucie va a destra e Mirko la segue a distanza. Quando, voi bambine,
entrate nelle altre stradine, parallele a questa, che ci sono da tutte e due le
parti, io e Mirko ci fermiamo in cima per poterci vedere e farci dei segnali:
così siamo sempre in contatto, chiaro? Quando voi due arrivate in fondo alla vostra strada non
andate oltre, se no vi perdiamo di vista; date solo un’occhiata e tornare
indietro... Ah, se vedete il gatto fatecelo capire… arriviamo tutti e lo circondiamo.
Ok?»
Ci mettemmo in azione secondo il piano. I bambini
stranamente ubbidienti e motivati si muovevano facendo il verso alla Pantera
rosa. Dopo un po’ io, stando in cima alla stradina, controllavo Samantha.
Mirko, come previsto sorvegliava attento dall’altra parte. Vedevo Samantha
procedere cauta, salire sui muretti attaccandosi alle ringhiere, scrutare nei
giardini e, ogni tanto, chiamare dolcemente Noir.
Ad un certo punto, sarà stata a cinquanta metri da me,
si fermò davanti a un vecchio cancello di ferro. Sembrava parlasse con
qualcuno, faceva gesti eloquenti come descrivesse il gatto, ero sicuro di udire
la sua voce gentile. Samantha si girò verso di me e mi fece cenno di aspettare,
di non muovermi. Si avvicinò al cancello e l’aprì, cigolava. La chiamai. Lei si
voltò ancora e, con fermezza, ripeté il segnale: “non temere, è tutto ok, l’ho trovato, aspetta lì!”. Questo almeno
è quello che mi sembrò di capire.
Fece due o tre passi verso la casa, poi si fermò e si
rimise a parlare sciolta. Solo per un attimo si grattò ripetutamente la testa,
come se le avessero fatto delle domande difficili. Il colloquio durò qualche
minuto poi la bambina avanzò sicura nel giardino ed andò a destra, verso un
casotto, forse un garage, non vedevo bene. Camminando ogni tanto si voltava
verso una finestra con la persiana aperta: dal mio punto di vista non vedevo
nessuno, ma ero lontano. Mi sentivo teso, agitato. Non volevo perderla troppo
di vista. Feci cenno a Mirko di far tornare indietro Lucie e di venire da me.
Come sempre, quando un gioco finisce, i bambini
diventano lenti: forse comprendono che tornare alla realtà, alla fine di un
gioco, li farà crescere un po', allora cercano di rallentare il tempo. Mirko e
Lucie, avevano capito che tutto era risolto e se la presero con calma.
Provarono anche a tirarsi qualche palla di neve: chissà perché fino allora non
era venuto in mente a nessuno?
Mi furono accanto dopo diversi minuti. Si vedeva,
erano delusi; io invece ero sempre meno tranquillo. A passo svelto andammo
tutti e tre verso il cancello del giardino dov’era si era infilata Samantha.
Prima che ci arrivassimo, da una diecina di metri, la vidi che si avviava
all’uscita. Il giardino doveva essere incolto, il manto di neve era molto alto
rispetto al vialetto centrale: sotto c’era erba alta. La casa aveva un aspetto
sinistro, l’intonaco giallognolo – “ma
non sarà questa luce strana?” - nonostante il “buiccio”, appariva
scrostato. Una doccia penzolava pericolosamente su il lato sinistro e qualche
persiana aveva perso più di una stecca e non c’era neppure una finestra
illuminata.
Samantha era sorridente, la seguiva, facendo strani
balzi all’indietro, il gatto nero. Sembrava giocasse con un compagno, un gatto
invisibile, “Questi felini sono
imprevedibili” pensai. La bambina, attraversando il cancello, mi fece un
cenno soddisfatta. Si voltò indietro, dolcemente prese in braccio il micio e,
dopo aver atteso qualche secondo, riaccostò il cancello: sentii un cigolio
stridente che mi fece allegare i denti.
Sempre rivolta all’indietro, con la mano, salutò più volte qualcuno.
Appena fu tra noi, Mirko le chiese spiegazioni.
« Chi salutavi? »
« Zitti, zitti! Dobbiamo andare via alla svelta, se no
ci viene dietro il gatto della
signora, giocava tanto volentieri con
Noir. Ho richiuso il cancello, ma non si sa mai, si arrampicano! Non voglio che
lei lo perda: è tanto vecchia e stanca, con questo freddo come farebbe a
cercarlo! »
Non avevo visto il gatto e nemmeno la vecchietta.
« Hai incontrato una signora? »
« Corto, ti ho
detto di stare zitto. Quando siamo in casa ti spiego tutto. »
Il Bestia,
che si sentiva in colpa, ed aveva paura delle mie ritorsioni, nell’aprire la
porta, gioì.
« Che bello: l’havete ritrovato! ».
« Sì, giocava col gatto bianco di una signora, dentro
una casa proprio qui dietro. »
Il Bestia
impallidì. Balbettava.
« Un gatto bianco?... »
« Sì, come il latte, pareva trasparente… sulla neve si
vedeva poco… ma Noir ci giocava lo stesso. »
« E… com’era questa signora? »
« Vecchia, vecchissima… alta e magra coi capelli
lunghi, lunghi che sembravano i fili d’argento dell’albero di Natale. »
Mirko voleva riprendere a giocare. Samantha, scosse il
capo.
« No, so io
cosa fare. Zio Gianfranco deve raccontare una storia, me
l’ha suggerito la vecchia signora. "Lui", ha detto "deva
raccontarla, per pagar pegno della sua marachella!"... zio che le hai
fatto alla signora? ».
«Io, niente! Che storia? ».
Una storia che sai e che parla antipasti: una storia di affettati che tu
conosci bene! »
Il Bestia
era sbiancato e ancora più agitato. Sudava freddo.
« Affettati, come fa a sapere… ma chi è quella vecchia?
»
Samantha, fece la faccina.
« Non lo so, ma secondo me è una maestra ».
Gianfranco impallidì ancora di più, sembrava un
pupazzo di neve. Credette bene di raccontare.
Ero ragazzo, forse solo un po' più grande di voi.
D'estate, in agosto mio padre, come ogni anno, ci portò a passare una
"settimana di fresco" a Gombitelli.
Si prendeva una camera, dove si dormiva stretti, ma
con la finestra aperta col fresco della notte e senza zanzare non era come stare
al Terminetto. Ci affittava la camera Angiò, della gloriosa famiglia Triglini. Angiò
mandava avanti una pizzicheria già allora famosa, almeno in Versilia, dove
vendeva i salumi da lui prodotti nel laboratorio dietro casa.
Di sera apparecchiavano quattro tavolini: noi si cenava lì. Eccetto il
mercoledì che la pomeriggio, come tutti, chiudevano. Ma io non lo sapevo...
La Famiglia Triglia, lo so può apparire strano, era
famosa per i salumi che confezionava nel laboratorio dietro casa. Probabilmente il nome non aveva nulla a che
fare col pesce omonimo, e aveva avuto origini molto precedenti alla data
impressa nello stemma, in bella mostra sopra la porta della pizzicheria: tre Astri e banda passante. Sovrasta l'arco
d'ingresso della loro casa e bottega in
paese.
Fra le varie ipotesi, considerando che la Triade era
costituita da Sole, Luna e Venere, il cognome potrebbe derivare, appunto, da tre astri. La zona fu popolata dai romani e lo stesso nome di
Camaiore, di cui Gombitelli è frazione, significa "Campus Major". E'
probabile quindi che l'appellativo Tre
Astri, o Tri Astri, col tempo sia diventato Trja, per poi arrivare all'attuale ramo minore Triglini. C'è chi sostiene che in origine foose addirittura proprio Triglia, ma erano fantasie di pescatori di trabaccola...
Soprattutto lo rendeva improbabile la tradizione della
famiglia: la sopraffina lavorazione del maiale tramandata nei secoli da padre
in figlio, da nonno a nipote. Dal lardo, allora prodotto povero indispensabile
per il sostentamento, al famoso prosciutto, aria buona e passione rendevano i
salumi artigianali dei Triglia
semplicemente unici. Li portavano in tavola convinti di farti gustare sapori
genuini, incontaminati proprio come l'aria di Gombitelli. In famiglia noi li
consideravamo magici, era piacevole conversare gustando tutta quella Toscana.
Il mercoledì ero andato a giocare da Giovanni, che
abitava in un cascinale fuori del borgo. Di solito i miei, di cultura
contadina, pranzavano alle sette e mezzo ed erano già le otto passate. Quando
arrivai al negozio, saranno state quasi le nove ed era già buio, ci rimasi
male.
(13 - segue)
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