
recensioni di romanzi gialli
Giudizio n. 138
Le ossa parlano
Antonio Manzini
Sellerio editore
Senza fare spoiler: "Viene trovato lo scheletro di un bambino sepolto in un bosco... Rocco Schiavone indaga". Romanzo di canone inverso: "Chi è la vittima?". Già è palloso in punto d'avvio mettersi a scoprire chi sia mai il morto ammazzato... pedinamenti, interrogatori, vecchie scartoffie, sospetti... Romanzo sottotono che non aggiunge nulla
di significativo alle vicende del protagonista se non portando avanti ciò che
tutti si aspettavano che, prima o poi, avvenisse. Anche il caso da risolvere risulta a mio avviso
tutto sommato piatto. Troppo procedurale (poliziescamente parlando) e troppo step by spep, non ci sono né lampi né ombre troppo scure.
Certo Manzini scrive bene (anche se ancora, sulle metafore, ci sarebbe qualcosa da dire: spesso sono peggio di quelle del postino di Neruda!) e riesce comunque (non sempre) a tenerti incollato alle pagine anche quando non è al massimo della forma. qui però due o tre brani, non brevi, sono dei sonniferi letterari!
Come nel caso di De Giovanni e prima ancora di Camilleri le storie sembrano scritte in funzione della serie televisiva, con personaggi e vicende che si intrecciano e rimandano ai romanzi precedenti.
All'inizio (primi romanzi) Rocco era un protagonista, Ora non ha più uno spessore e sta diventando un burattino bloccato in un atteggiamento (basta con le Clarks e le canne!) o in un tic. Ma per fortuna a volte Rocco si prende la scena e sfugge di mano all'autore (accade quando un personaggio ha acquisito carattere!): sono le pagine migliori, quelle lontano da mamma Rai! Mezza stella (utile per la sufficienza) la tira su lui
Gli amici romani, anche se non hanno niente da dire, continuano a starci perché tengono contratto con la Rai, ma se ne potrebbe fare a meno. Nessuno se ne accorgerebbe!
L’intreccio fila via zoppicante e poco intrigante (i dialoghi e i battibecchi sono stanchi anche loro. Direi peggio: risaputi!), e la fine (ma è possibile una fine così?) lentamente ti compare davanti e quando arriva non è una gran sorpresa.
Una nota. Antonio Manzini è romano de Roma. Ama Roma e ben la conosce. Lo si nota da come ci fa muovere i personaggi.
Non ama Aosta, né Ivrea: girando per quelle strade ad ogni passo inciampa e quando si ferma per le descriverle usa vecchie cartoline acquistate ad una bancarelle di "robivecchi", magari sul Lungotevere vicino a Ponte Milvio! La differenza è tanto palese, quanto sgradevole.
Pregevoli un paio di pagine dedicate all'Olivetti, ma anche queste, nonostate le buone intenzioni (geopolitiche, visto che Rocco indaga in quel di Aosta e in tutti questi anni a Ivrea non c'era mai andato?), sanno di stralcio sintetico da fonti di altri. Comunque, da ex dirigente Olivetti, ache se mi sono risultate un tantino superficiali, grazie lo stesso!
Concludendo, ahimé, il peggior romanzo dell'intera serie: se non siete xe Olivetti e non abitate a Ivrea, potete anche evitare di leggerlo.
Voto ***/5
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