Un
mestiere difficile
Sembra
facile …
fare il detective nel
Rinascimento!
Parte
III
Quinta domanda: un po’ diversa la presenza e la posizione di Bertuccio
rispetto agli stilemi del giallo storico?
Sì, volutamente. Questa moda di far indagare i
personaggi famosi mi ha sempre disturbato un po’: ho voluto prendere le
distanze ribaltando i ruoli. Nelle mie storie chi conduce la danza è un
semplice artigiano, un tecnico proiettato nel futuro, un uomo che non ha legami
col passato e che intuisce il progresso in atto. I personaggi famosi (più di
lui radicati nel medioevo) lo assecondano, lo aiutano, ma non sono loro gli
agenti del cambiamento. A volte, addirittura, non capiscono neppure bene quello
che fanno.
Bertuccio fin dall’inizio è combattuto tra il
desiderio di scoprire la verità e l’aspirazione a sviluppare la sua arte. E’
per questo che capisce presto una cosa: la verità è scomoda per lui e poco
gradita ai potenti. In questo, oltre che ai fatti storici, ho tenuto conto del
libro Capitalismo
e civiltà materiale di Fernad Braudel. Lo storico francese descrive una
società a strati: facile attraversarla longitudinalmente, molto difficile, anzi
impossibile, in verticale. Svelare i misteri del livello superiore non procura
meriti, ma attira le punte dei pugnali nascosti nell’ombra. La stessa cosa
sarebbe successa a Machiavelli o a Leonardo che sarebbero rapidamente defunti
di morte violenta. Infatti, a quanto ne sappiamo, in realtà si sono guardati
bene dal mettere a nudo le magagne di ricchi potenti (reali o potenziali)
mecenati. Acquisita questa consapevolezza, Bertuccio si “rifugia” nella sua
arte.
Sesta domanda: ci sono precedenti letterari che sono tuoi
riferimenti?
Per quanto ne so, direi di
no. In realtà sono stato parecchio influenzato da Theodore Mathieson. Pubblicò
nel 1959 The
great “detectives” con
prefazione di Ellery Queen. Il Club degli editori (Mondadori) nel 1961 lo
pubblicò in Italia con un titolo orribile: Quando il genio indaga. La
traduzione era di Luciano Bianciardi, una delle massime personalità letterarie
e culturali della seconda metà degli anni cinquanta. Ci sono raccontate undici
indagini fatte da Alessandro Magno, Leonardo da Vinci, Hernand Cortes… Allora
mi affascinò parecchio, ma avevo solo sedici anni. Ripreso in mano dopo Il nome della rosa di Umberto Eco,
mi fece arrabbiare. Che ne sapeva costui del modo di ragionare di Leonardo da
Vinci o di quello di Cervantes? Mi innervosì ancora di più Margareth Doody che,
ispirandosi a Mathieson, cominciò a proporci Aristotele detective con
innumerevoli sequel. Solo che passare da racconti di 15 pagine a tomi di 350
pagine è una vera e propria violenza! Non solo al lettore, anche al
personaggio. A sentire lei Aristotele passava il suo tempo a fare il Poirot;
che filosofia: “ordine, metodo e cellule grigie”!
Avrete capito che le mie
storie sono volutamente strutturate in modo opposto, anzi contrapposto, a
quelle della moda ormai dilagante. Io cerco di puntare i riflettori sull’uomo
non sul genio.
Postilla
La domanda di un frequentatore del
blog: Nel primo racconto ci si riferisce all’inverno, ma si
è all'inizio di dicembre. Il secondo è ispirato alla primavera, ma siamo ancora
in inverno... Così anche negli altri due: ha un senso?
Me
n’ero dimenticato, e dire che se n’era parlato a Viareggio e anche a Montevarchi. Volutamente, per
esaltare il momento di cambiamento, pongo le storie in un momento di
transizione tra una stagione e la successiva: anche il meteo dev’essere incerto
e ambiguo. Come il 1493 e il ‘94 sono anni di transizione tra il Medioevo e il
Rinascimento così le stagioni sono ancora indefinite. Tutto, anche Bertuccio
(come ho già detto), vuole esprimere questo cambiamento in atto. Il mondo sta
cambiando grazie a Colombo, la Cristianità grazie ai Re di Castiglia e la
Signoria di Firenze a causa della morte improvvisa di Lorenzo dei medici.
In un paese del contado, in quegli anni, niente può ancora cambiare. Non c’era altro modo, per esprimere il movimento verso l’era moderna, che collocare le storie nei giorni dove stava per arrivare la nuova stagione. Quindi ha un senso: esprime il divenire in quel microcosmo agricolo commerciale, che era allora Monte Varchi.
In un paese del contado, in quegli anni, niente può ancora cambiare. Non c’era altro modo, per esprimere il movimento verso l’era moderna, che collocare le storie nei giorni dove stava per arrivare la nuova stagione. Quindi ha un senso: esprime il divenire in quel microcosmo agricolo commerciale, che era allora Monte Varchi.
Una domanda di un giornalista radio che
già aveva letto le storie di : Cosa
hai provato a far agire i tuoi nuovi personaggi e, in parallelo, quelli storici
famosi non inventati da te?
Per i personaggi da me inventati
tutto si è svolto più o meno come per le storie di Corto. Prima ho definito la
“location” (per la Versilia di Corto c’è stato un po’ meno lavoro), poi ho
disegnato i personaggi coi loro caratteri e le loro specificità. A quel punto
hanno preso vita ed agito “quasi in autonomia” nel teatro da me predisposto.
Per i famosi, parlo di Michelangelo,
Marsilio Ficino, Filippino Lippi … il discorso è diverso. Non sono frutto della
mia fantasia e quindi ho dovuto, in qualche modo, far loro violenza. Ho cercato
di immaginarmeli come potevano essere in un momento particolare della loro
esistenza. Michelangelo giovane spaesato e preoccupato per esser scappato da
Firenze; il Ficino un po’ provato dalla vecchiaia, Filippino di ritorno da Roma
che scopre che a Firenze sta montando la “rivoluzione” del Savonarola …
All’inizio avevo qualche timore (non volevo peccare né di presunzione, né
d’irriverenza), poi ho scoperto che anche “loro”
si prestavano al gioco e devo dire che si sono proprio “comportati bene!”.
(fine)
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