Pensiero
sistemico e noir
(tecniche
avanzate di scrittura)
(Parte
II)
Il delitto non paga
ovvero soluzioni che falliscono
Uno
degli archetipi sistemici illustrati da Senge ne La
quinta disciplina è Soluzioni
che falliscono. Lo descrive così: Una
soluzione, dimostratasi efficace nel breve termine, a lungo termine, può avere
conseguenze, che possono forzare a nuovi interventi (rafforzamenti) della
soluzione.
Lo
schema illustra sinteticamente e semplicemente l’archetipo. Le frecce, quotate con un “-“ significano che
hanno effetto di diminuzione, quelle con un “+” di crescita. I simboli (-)
e (+) indicano che il circuito dentro
cui sono allocati, rispettivamente, si equilibra (balancing) o è in crescita (escalation).
Considerando queste chiavi di lettura, rileggiamo lo schema: si soffriva di un
problema e si è compiuto un’azione per risolvere la situazione. All’inizio
tutto bene, ma poi (con ritardo, ma puntuali!), arrivano spiacevoli conseguenze
impreviste! Cosa fare? Ogni entità (ditta, persona o istituzione) reagisce a
suo modo.
Se
adattiamo lo schema di questo archetipo al noir, potremo ribattezzarlo: il
delitto non paga, o almeno “non lascia tranquilli”. Capite bene
che il manifestarsi delle conseguenze impreviste crea tensione nel delinquente
e questo (vi posso assicurare) è molto utile per innescare la suspense! Manna
per l’autore, ma siccome la complessità aumenta, deve guardarle con pensiero
sistemico. Cosa che invece, essendo poco propenso a interpretazioni controintuitive
che richiederebbero più calma, non riesce a fare l’assassino!
Salto
a piè pari Sherlock Holmes, e il suo autore. Il personaggio è troppo
intelligente, e bravo, e colto e talmente acuto che potrebbe guastarmi il teorema!
Partiamo, per dimostrare la tesi, da un eccellente esempio nostrano.
Il
signore che vedete ritratto non è il vero Raskol'nikov e non viveva a San Pietroburgo.
Non è neppure un delinquente catalogato, schedato e classificato nel museo di
Lombroso a Torino. Si tratta invece di un System
Thinker ottocentesco. Nome Emilio de Marchi, nato a Milano nel 1851 e morto a Milano nel 1901. E’ stato un bravissimo (ma per me sottovalutato)
e innovativo scrittore italiano. Con Il cappello del prete (1888)
inventò il romanzo noir, un nuovo genere letterario, almeno per l'esperienza
italiana. Nel romanzo (secondo me ci sono sottili influenze da Delitto e
Castigo), ambientato a Napoli, è appunto un cappello da prete, nuovo di zecca,
a essere l'unica traccia (persecutoria e inattesa) che conduce a svelare
l'uccisione di un prete affarista da parte di un nobile spiantato.
Il
barone napoletano Carlo Coriolano di Santafusca è alle prese con un grosso
problema finanziario: ha appena ricevuto la richiesta di restituire entro una
settimana una cartella di 15.000 lire. Il prete Cirillo, affarista e
truffatore, ha grosse disponibilità di moneta liquida. E’ tanto avido da avere
la perfida idea di truffare il barone e un’istituzione religiosa sua
committente, per fare altri soldi. Quando il barone se lo trova accanto vede la
soluzione ai suoi problemi … lo accoppa. Tutto bene finché quel cappello,
comincia a perseguitarlo e a spingerlo a compiere azioni che ne peggiorano
progressivamente la situazione! I volti sono quelli degli attori (L. Vannucchi
e F. Sportelli) dello sceneggiato Rai (1970 – di Sandro Bolchi).
(II-segue)
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