"Private Eye"
ovvero investigatori privati.
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I duri (postilla)
riflessioni su una razza in via d'estinzione
riflessioni su una razza in via d'estinzione
Private Eyes - I duri (postilla)
Ho
ricevuto diverse richieste di chiarimento e anche molti apprezzamenti che mi hanno fatto capire (solo una conferma!) l'affezione del
pubblico per il delitto e, per certi versi, per i detective (anche e forse di più per i poliziotti!). Ricordo che in questa
serie Private Eyes mi sono occupato solo dei "privati", non dei
poliziotti, sono troppi per essere trattati tutti. Inoltre questo ritorno smentisce il pensiero di Lew Archer il detective "duro postmoderno":
"Tutti odiano i detective e i dentisti. Li odiano anche dopo che hanno loro risolto un problema".
"Tutti odiano i detective e i dentisti. Li odiano anche dopo che hanno loro risolto un problema".
Prenderò le distanze da questo astio incarognito dall'esperienza con una
domanda del regista Fritz Lang; serve anche a porre alcuni quesiti su cui voglio
soffermarmi: "Perché l'assassino
stimola in modo così evidente la fantasia di tutti? E perché Shakespeare che
scrisse pochissimi drammi senza almeno un assassinio è il più grande
drammaturgo?".
Lang
ha diretto dei noir, la sua non è un domanda ingenua, bensì retorica. In più, dato che è
stata posta dopo Il mistero del falco, anche furbetta.
Precisazione
importante. Alla dirompente interpretazione di Humphrey Bogart in Il mistero del falco (John Huston -1941)
si deve forse il merito di aver fatto diventare l'investigatore privato un
simbolo del noir. Il paradosso è (come ho già rilevato facendo la conta) che i
"privati" non sono poi tanti e tra questi "i duri" sono anche
meno. Un sparuta pattuglia.
Il
personaggio del "private eye" è nato dalla penna degli autori hard boiled (D. Hammett,
R. Chandler, M.Spillane) e poi ravvivato Ross MacDonald. Adatto al cinema per via del suo
linguaggio asciutto, pieno di battute ciniche, ironiche e sarcastiche ha
portato al successo diverse pellicole. E' anche un antieroe, ma dotato di un
proprio codice etico, a volte sembra addirittura un cavaliere errante.
Ricordiamo
il Bogart-Spade dalla personalità complessa, che si muove in equilibrio
precario su una linea di confine tra
moralità e trasgressione, attratto da una Dark Lady (altro personaggio
nato con l'hard boiled), ma in fondo determinato a preservare il suo mondo e a
godere della sua solitudine, anche esistenziale.
Spesso,
dietro le azioni del detective si avverte, in modo più o meno evidente, L'ombra
del passato. Nell'omonimo film di Edward Dmytryk (1944), incombe su un
Philip Marlowe (Dick Powell) vittima di un'altra dark lady (lei sì, con parecchie ombre buie da dietro!) decisa a trascinarlo
verso il male.
Poco dopo sarà Bogart, il Marlowe de Il grande sonno (Howard
Hawks - 1946) a delineare un personaggio più distaccato, mosso da cinismo intellettuale. Al contrario disilluso e
violento ci appare Mike Hammer di Un bacio e una pistola (Robert Aldrich - 1955). E' cattivo perché intorno a lui tutti sono cattivi.
Bisognerà
aspettare qualche anno per vedere Lew Archer al cinema, si chiamerà Harper (Detectve's Story - 1966), e
già sia avverte, con un po' d'amaro in bocca, che un'epoca favolosa è passata. "Questo non è più un cinema da
duri"!
Lo ribadisce anche Altman con Il lungo addio (1973). Un noir dolente e
crepuscolare che mostra un Philip Marlowe sciatto (sembra quasi il tenente Colombo) alle prese col quotidiano (la spesa) e pure con un
gatto che smusa il cibo se non è della sua marca!
Nel 1974 Roman Polànsky, con Chinatown, porta sullo schermo J.J. Gittes. E' un'operazione nostalgica, un po' di maniera e furbetta che a me, anche se la confezione è di lusso, suona falsa. "La sincerità non paga", deve aver pensato Altman quando ne ha visto il successo! Il "Jake" di Jack Nicholson è infatti, sempre secondo me (ci fosse un altro critico che lo dice apertamente!), più un'icona, una maschera (vedi anche il mitico cerotto) che un personaggio reale.
Nel 1974 Roman Polànsky, con Chinatown, porta sullo schermo J.J. Gittes. E' un'operazione nostalgica, un po' di maniera e furbetta che a me, anche se la confezione è di lusso, suona falsa. "La sincerità non paga", deve aver pensato Altman quando ne ha visto il successo! Il "Jake" di Jack Nicholson è infatti, sempre secondo me (ci fosse un altro critico che lo dice apertamente!), più un'icona, una maschera (vedi anche il mitico cerotto) che un personaggio reale.
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