Film n. 87
Il grande inganno ( The Two Jakes )
di Jack Nicholson
con Jack Nicholson, Harvey Keitel, Faye Dunaway
Perché ricercare la gloria del padre, quando ne hai di tua?
Era il 1974
quando il carismatico detective "Jake" J.J. Gittes fece il suo ingresso trionfante
nel mondo del cinema, impersonato dall'allora piuttosto giovane Jack Nicholson nel cult movie Chinatown (per me sopravvalutato),
diretto da Roman Polansky.
Trent’anni dopo,
e dopo molto tormentato lavoro, l’ottimo
Jack resuscita l’omonimo detective inventandosi un film che, seppur nato,
cresciuto e conclamato come “seguito”
del capolavoro degli anni ’70, risulta “autonomo” e, per molti aspetti, diverso
dal "troppo" prestigioso, osannato e fortunato esordio.
Dal 1937 si passa
al 1948. Che il tempo sia passato lo si capisce fin dall’inizio. L'aspetto dell’investigatore tradisce il trascorrere
degli anni sia nel fisico che nel volto (scavato da molte dure esperienze), ma
il carattere e le abitudini sono sempre le stesse.
Scaltro, ammanicato e, a modo suo idealista, Jack Gittes porta ancora avanti con i suoi, ormai attempati anche loro, colleghi la stessa attività di sempre.
Segue mariti o mogli infedeli, figli sull'orlo della droga, scopre piccoli intrighi provinciali. Come sempre si scontra con i poliziotti che un po’ lo ammirano ed un po’ lo disprezzano.
Scaltro, ammanicato e, a modo suo idealista, Jack Gittes porta ancora avanti con i suoi, ormai attempati anche loro, colleghi la stessa attività di sempre.
Segue mariti o mogli infedeli, figli sull'orlo della droga, scopre piccoli intrighi provinciali. Come sempre si scontra con i poliziotti che un po’ lo ammirano ed un po’ lo disprezzano.
Come da
copione, arriva l’ennesimo, ma "diverso" cliente (un grandissimo Harvey Keitel) che nasconderà più
misteri di quanti ne dovrebbe avere un semplice “marito cornuto”.
I fili col passato appaiono sempre più evidenti, e quando sulla scena ritornerà il cognome Mulwray (appartenuto alla donna che Jack aveva amato, Faye Dunaway, e alla sua figliola scomparsa), ogni cosa diverrà più complicata. Senza questa forzatura "sequel" sarebbe stato un capolavoro. Vero cinema "d'autore"!
L’atmosfera chandleriana
è la stessa che contraddistinse il capolavoro di Polansky, la città è cupa, piena
di chiaroscuri densi di rosso e di blu piombo, ma circondata stavolta dal
deserto che ha sostituito le scene piene di distese di alberi.
La famelica brama di
petrolio ha sostituito quella dell'acqua come movente di ogni intrigo e misfatto.
Nicholson dirige così come recita: è originale, carismatico, impeccabile; sceglie inquadrature e messe a fuoco a volte forzate ma assolutamente godibili, conferendo senza dubbio un suo stile alla narrazione. Ma i critici erano ancora troppo "innamorati" di Chinatown, non l'hanno apprezzato come si doveva.
Nicholson dirige così come recita: è originale, carismatico, impeccabile; sceglie inquadrature e messe a fuoco a volte forzate ma assolutamente godibili, conferendo senza dubbio un suo stile alla narrazione. Ma i critici erano ancora troppo "innamorati" di Chinatown, non l'hanno apprezzato come si doveva.
Raramente si
concede anche il lusso (era meglio se non lo faceva: excusatio non petita...) di citare esplicitamente Chinatown,
inserendo brevi istanti del film di Polansky, rappresentati come deja vu’ vissuti dal buon Gittes. Si rasenta
il "pissero" (quanto di peggio a Firenze!) col richiamo
alla scena cult del naso ferito.
Il Grande
Inganno (o meglio The
Two Jakes, i due Jack, l’ispettore
ed il suo misterioso cliente, legati molto più profondamente di quanto si possa
inizialmente credere) non risulta mai succube del glorioso predecessore. Non sembra neppure un semplice “sequel”. Ha al
contrario gli stilemi del grande film d’autore, che fa dell’atmosfera e delle
ottime interpretazioni assoluti punti di forza.
Un vero disastro al botteghino, un San Sebastiano della critica. Ciononostante è divenuto ben presto un’opera apprezzata dagli intenditori anche se pressoché sconosciuta al grande pubblico. Questo è un vero peccato. Da (ri)vedere, da (ri)gustare e da (ri)scoprire.
Un vero disastro al botteghino, un San Sebastiano della critica. Ciononostante è divenuto ben presto un’opera apprezzata dagli intenditori anche se pressoché sconosciuta al grande pubblico. Questo è un vero peccato. Da (ri)vedere, da (ri)gustare e da (ri)scoprire.
Voto ****/5
Nessun commento:
Posta un commento