Postilla
Sleep My Love
(Donne e veleni). United Artists, 1948. Claudette Colbert, Robert
Cummings, Don Ameche, Rita Johnson, George Franklin, Raymond Burr, Hazel
Brooks. Regia:
Douglas
Sirk.
E' un thriller coniugale tratto da un racconto di Leo Rosten. Douglas Sirk, che a fine carriera ha diretto
grandi film melo' come
Lo specchio della vita o Come le foglie al vento, qui mostra
il suo raffinato talento scenico.
Ho già pubblicato una recensione del film (potete leggerla cliccando a lato) qui sul blog, ma,
dopo averlo rivisto, devo tornarci sopra per puntualizzare alcune brillanti
scelte del regista.
Donne e
veleni,
pur seguendo le mosse del più celebre Gaslight, presenta molte differenze. Il marito, Don Ameche
non agisce direttamente, ma usa un "sicario". Claudette Colbert è braccata in casa propria dal brutto occhialuto, mentre poi è coccolata,
con falsa amorevolezza e cioccolata
drogata, dal coniuge "marcio dentro", che la prepara progressivamente
a un esaurimento nervoso che la spingerà a un salto acrobatico dal balcone con bella vista sul
ponte di Queensboro (siamo sull'east river, abbastanza vicino a Central Park).
Si noti nel fotogramma lei sulla balaustra. Il marito è dietro una vetrata, tenetelo a mente, vi sarà utile alla fine. Il regista si sbizzarrisce nello sviluppo della trama con
ingegnose sottolineature. Il tocco geniale della sua direzione viene mostrato
con un finale che fonde stile e sostanza. Sirk, che già mostra forte sensibilità per le
scene drammatiche (poi esaltata col melò), ha progettato, fin dall'inizio, di
usare il soggiorno della casa come gabbia
prima e come trappola poi. Le tende asfissianti, pesanti da foyer,
una grande porta scorrevole col vetro e la
scala che troneggia sullo sfondo o incombe dall'alto. La casa, in questo film è
protagonista, quasi un'attrice ambigua e mutevole. Le scale che consentono giochi di
nascondiglio, le tende pure e gli spazi a volte angusti altre volte dilatati.
Alla fine, nella scena
conclusiva, il subdolo marito porta giù per le scale la moglie e la sistema , in preda alla droga, seduta davanti alla porta di vetro, dietro c'è
nascosto il complice, il falso psichiatra. "Devo
incalzarla e tormentarla ancora un po'", pensa il complice pronto a intervenire. In realtà il marito è davvero diabolico: mette
in mano alla moglie mezza drogata una pistola carica dicendole che il suo
persecutore è proprio dietro quella porta.
Claudette sta per sparare, ma all'ultimo minuto si
sveglia, a questo punto il marito afferra la pistola e spara lui stesso attraverso
la porta. Si frantuma il vetro
smerigliato: si vede allora il complice ferito dall'altra parte. Anche lui,
caduto il velo, ha capito il tranello, spara per vendicarsi.
Una splendida
scena di cinema. Un grande momento
narrativo in cui il marito rompe, spacca il vetro (ricoradte prima) che lo seprava dalla verità. In ultima analisi lacera la sua tela d'inganni. Si alza il velo: visivamente la barriera di vetro che nascondeva il suo complice d'intrigo.
Una sintesi perfetta che annulla e chiarisce l'ambiguità. Geniale convergenza narrativa: si ha la correlazione visiva perfetta tra quello
che la storia ci raccontava e quello che si vede. E' un altro motivo per cui credo meriti ancora di andare al cinema.
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