Romanzi in B&W
influenze della letteratura americana
sui film noir anni '40
Parte XI
Gli altri, kamaraden e fellow ...
prima e dopo
Di film
tratti da romanzi o racconti di Raymond Chandler ce ne sono altri, ma basterà
menzionarli, non hanno infatti lasciato il segno.
La moneta insanguinata (1947) di John Brahm, poco visto in
Italia. E' tratto da Finestra sul vuoto e Marlowe sembra più Sherlock Holmes che un detective hard boiled.
Poi c'è
James Garner ne L'investigatore Marlowe
(Marlowe - 1969) di Paul Bogart, Marlowe indaga (1978) di Michael Winner
(ancora con Mitchum, che era meglio se non ci si provava!) e, infine, Marlowe - Omicidio a Poodie Spring (1998)
di Bob Rafelson, con James Can.
Questa non è
però, un'appendice. Prima di fare una rassegna finale, torniamo al noir come
modo di narrare. L'aspetto figurativo tipico del cinema espressionista è
rintracciabile nel noir americano anche per un'altra ragione: con l'avvento del
Nazismo in Germania, molti registi e sceneggiatori del cinema tedesco
emigrarono negli USA, trasferendo a Hollywood la cultura visiva di luci e ombre
dell'espressionismo tedesco.
Per i
contenuti invece il genere, come si è visto, attinse a piene mani alle opere
letterarie hard boiled del già citato Hammett, di Raymond Chandler, di
Cornell Woolrich, di James M. Cain. Anche di Mickey Spillane, qualche tempo
dopo, fornì spunti a Holliwood.
Il film che
rappresenta il punto di incontro tra il cinema espressionista tedesco ed il
cinema noir è Lo sconosciuto del terzo piano, di Boris Ingster, del
1941, con Peter Lorre.
Ulteriore
dimostrazione viene dal fatto che un altro regista di film espressionisti come Destino,
Metropolis e Il dottor Mabuse, Fritz Lang, emigrato in America si
dedicò quasi solo esclusivamente ai film noir, diventandone uno dei maggiori
esponenti.
Proprio di
Lang potrebbe essere l’altro film, oltre a Lo sconosciuto del terzo piano,
a fare da ponte stilistico e tematico tra un Espressionismo classico e uno
moderno in chiave noir, come M – Il mostro di Düsseldorf.
Ambiguità,
luci, ombre, gioco di specchi e la maledizione di un ritratto che affascina il detective. Un
fucile nascosto in una pendola... da un ambiguo mentore.
E' tratto
dall'omonimo romanzo di vera Caspary, edito nel 1943.
Se sentite
dire, da qualche sedicente esperto di cinema, che Robert Siodmak, con La scala a chiocciola, esalta le atmosfere e le illuminazioni del
noir giocando con la splendida fotografia ossessiva, opprimente e dalle lunghe
ombre, storcete il naso. Quello non è un noir, è un giallo
filmato secondo gli stilemi del noir, ma sempre giallo e classico: per esito,
personaggi e ambientazione.
Evitate (è
un saggio consiglio) di iniziare
discussioni con chi lo ha affermato: si ripeterebbe la storia labirintica dei
romanzi noir! Consigliate solo la lettura del romanzo di Mary R. Rinehart, capiranno.
Bisogna
fermarsi un pochino di più sull'espressionismo tedesco. L'aggettivo noir
(nero) fa riferimento alla cupezza di queste pellicole, sia per quel che
riguarda il loro contenuto, sia per gli aspetti di carattere prettamente
formale (forte uso del chiaroscuro, inquadrature distorte e luci a lama radenti)
che rimandano al cinema espressionista tedesco di Friedrich Wilhelm
Murnau. Qualche anno dopo Fritz
Lang conferma con Gardenia blu. E' tratto da un racconto di vera Caspary,
l'autrice Li laura.
Infine ancora lui! Nel 1957 un romanzo (1947)
di David Goodis viene adattato per il cinema. Goodis aveva tracciato la strada
del noir, ma ormai, dopo tanti anni, il successo non si ripete. Sono davvero altri
tempi !
Il romanzo
aveva avuto un discreto successo e i produttori bensavano di rinverdire il genere.
Il film finì
invece in serie B. Era destino che chi aveva tracciato la strada, chiudesse il gas e si tirasse dietro la porta.
Anche da noi
ci fu poco clamore e meno pubblico.
Peò in
Italia si guadagnò la pubblicazione tra i gialli Mondadori.
Ebbene, negli anni ’50, prevale il colore. La Technicolor ha ormai ucciso il noir e anche (in
certi film) la suspense. La suspense è figlia dell'arte del togliere, unico
modo per coinvolgere emotivamente il lettore o lo spettatore. Se dici tutto non
c'è suspense e sopravviene la noia, a meno che tu non sia Marcel Proust (ma
anche lui a volte...). Inoltre la tecnica espressionista cerca di scavare le
ombre.
Nel 1958,
dopo decine forse centinaia di titoli, arriviamo a L'infernale Quilan di Orson Welles: una tappa fondamentale. Incredibilmente questi film erano considerati
dalla critica d'oltreoceano produzioni di scarso valore. Bigotto moralismo USA.
Eppure alcuni ottennero la nomination
agli Oscar.
Negli anni '70,
periodo della cosiddetta New Hollywood,
il noir americano venne rivisitato da
importanti registi: da Robert Altman, come già scritto, (Il lungo addio,
1973), da Roman Polanski (Chinatown, 1974), da Arthur Penn (Bersaglio
di notte, 1975), ma il colore non si sposa bene col noir. Inoltre J.J.
Gittes e Lew Harper (L.Archer nel romanzo di Ross MacDonald) non sono Marlowe!
Ne sono
consapevoli anche i registi che di versione in
versione abbandonano progressivamente lo schema classico, in cui tutto
ruota attorno alla figura del private eye
e/o a quella della femme fatale: per cui, si sono definiti “noir” (non sono d’accordo) anche film quali La conversazione
(1975) di Francis Ford Coppola o Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese,
i quali comunque mantengono intatti situazioni, atmosfere, stati d'animo (e non
di meno una sottesa critica sociale) tipici del genere, ma col noir classico c’entrano
poco.
FINE
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