Due autori allo specchio:
Agatha e Raymond
Parte III
Forse
la citazione da La semplice arte del delitto, saggio acido del
“rancoroso Chandler” (così lo qualificava Oreste Del Buono) è un po’ lunghetta,
ma credo ci voglia tutta per capire quali umori solfurei e sedimenti corrosivi
tormentassero questo genio.
Si
ricordi anche che Raymond Chandler, molto sensibile a quanto avveniva nelle
grandi città USA, ma anche in Germania, vedeva ombre plumbee proiettate sul
futuro. Se si scrive noir un po’ di pessimismo nel sangue bisogna averlo, ma
anche un po’ di voglia di riscatto! Doti che non gli mancavano. Per esorcizzare
le sue paure aveva creato, nel 1939, la figura di Philip Marlowe. Era la
vigilia della guerra, sentiva il bisogno di un personaggio potenzialmente
nobile per farlo agire come “l’uomo ideale
per un mondo peggiore”.
Si
era ispirato a Sam Spade (nato dieci anni prima), detective del suo maestro
Hammett, creando così il secondo Privato
Gentiluomo (così lo definì Oreste Del Buono che di private eye se ne
intendeva parecchio). Una specie di cavaliere dotato di una robusta corazza
forgiata su senso etico flessibile, Marlowe ha pure un particolare codice
d’onore, anche se parecchio relativistico. Non vi piace la parola, useremo allora
"adattivo".
I romanzi di Chandler, Marlowe è un serial
detective, quanto a intreccio (la trama intendo) non sono per niente più attendibili dei meno attendibili testi
della scuola inglese, da lui tanto vituperata. A parte Il grande sonno, gli
altri a seguire sono assemblaggi di precedenti racconti pubblicati sulla dime Back Mask, e si vede!
Detto
questo posso affermare che su Poirot e Assassinio
sull’Orient Express ha torto, ma anche ragione. Una ragione torta, non
tortuosa, dato che il suo ragionamento fila e le argomentazioni sono rigorose,
anche se, credo volutamente, ignorano alcuni aspetti. Diciamo che ha ragione in
superficie, a pelle, ma ha torto se il discorso viene approfondito.
Sì,
torto nella sostanza e ragione in via teorica. Una solida tesi che non ha
saputo dimostrare con rigore. o, a voler essere maligni, una tesi che non ha
voluto sbugiardare. Ma veniamo al romanzo incriminato, Assassinio sull'Orient Express. Il tiro che zia Agatha gioca al
lettore è, infatti, eccezionale. Nel senso che rappresenta un'eccezione, non
che è straordinariamente brillante. Anzi, saremmo portati a definirlo sleale.
Ma, quando si ha a che fare con una regina, la Regina del Giallo Classico,
occorre prudenza e ponderazione. Se ci si riflette un tantino la prospettiva si
ribalta. Subito dopo si è indotti ad ammettere che questa volta la Christie,
proprio per voler barare al massimo, ha barato meno del suo solito.
Basterà
ricordare (è una scena importante) l'ispezione che Poirot fa con il dottor
Constantine sul cadavere della vittima Samuel Edward Ratchett. Dopo aver ben
esaminato la salma Hercule Poirot chiede "Quante
ferite ha riscontrato con esattezza, dottore?". La risposta è dodici
di cui due lievi: non sono della stessa mano, dunque! Poi emerge che alcune
delle ferite, molto profonde, non hanno sanguinato: sono state inferte quando
la vittima era già trapassata a miglior vita. Infine sembra che sia pure stato
colpito da un mancino.
Nelle
pagine successive, il ricco Ratchett viene ampiamente messo a luce come: infame,
cattivo, perfido, vendicativo, traditore e altre varie nefandezze.
Allora
come si giustifica la meraviglia e l'accusa di Chandler? Il lettore ha tutti
gli elementi per sospettare di un gruppo di assassini che si son presi la
propria vendetta.
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