mercoledì 9 maggio 2018

Una tranquilla provincia criminale (XI)



 Una tranquilla provincia criminale
rassegna di alcuni delitti  della "provincia liquida" italiana


(XI)
Roma(III)
Un caso tormentato e lungo, ma irrisolto


Scoppia lo scandalo

L'ipotesi scartata del suicidio e la chiusura del caso

L'Istituto di Medicina Legale di Roma conduce l'autopsia: i medici affermarono che la probabile causa della morte sarebbe stata una «sincope dovuta ad un pediluvio». Permangono alcuni dubbi: potrebbe essere l'esito funesto di una tentata violenza, potrebbe essere un triste caso di delitto di provincia. La stampa analizza le lacune e ci lavora sopra, le fa diventare dubbi: è una bomba innescata.

Il coinvolgimento della stampa

 

L'ipotesi dell'incidente fu considerata attendibile dalla polizia, che chiuse il caso, nonostante alcune stranezze. I giornali, invece, si mostravano scettici o piuttosto ci videro delle opportunità.
Il Roma, quotidiano monarchico napoletano, il 4 maggio cominciò ad avanzare l'ipotesi di un complotto per coprire i veri assassini, che sarebbero stati alcuni potenti personaggi della politica: l'ipotesi presentata nell'articolo Perché la polizia tace sulla morte di Wilma Montesi?, a firma Riccardo Giannini, ebbe largo seguito.
A capo di questa campagna dei media, vi erano prestigiose testate nazionali, quali il Corriere della Sera e Pese Sera, piccole testate scandalistiche, quali Attualità, ma grande protagonista, in senso mediatico, fu il cronista del Messaggero Fabrizio Menghini, che aveva seguito il caso sin dall'inizio. La notizia, comunque, si diffuse su quasi tutte le testate locali e nazionali.


Il 24 maggio del 1953 un articolo di Mardo Cesarini Sforza, pubblicato sulla rivista comunista Vie Nuove, creò molto scalpore: uno dei personaggi apparsi nelle indagini e presumibilmente legati alla politica, sinora definito «il biondino», venne identificato nella persona di Piero Piccioni.


Piccioni era un noto musicista jazz (noto col nome d'arte Piero Morgan), fidanzato di Alida Valli, allora una star internazionale. Verrà arrestato e verrà assolto, meno male che dopo questa brutta storia ha potuto continuare la sua attività artistica!


Era anche figlio di Attilio Piccioni,   Vicepresidente del Consiglio, Ministro degli Esteri e massimo esponente della DC. In ultima analisi la seconda vittima del caso montato dalla stampa scandalistica.   
Il nome di «biondino» era stato attribuito al giovane da Paese Sera, in un articolo del 5 maggio, in cui si raccontava di come il giovane avesse portato in questura gli indumenti mancanti alla ragazza assassinata. L'identificazione con Piero Piccioni era un fatto noto a tutti i giornalisti, ma nessuno ne aveva mai svelata l'identità al grande pubblico.




Su Il merlo giallo, testata di destra, era addirittura apparsa già ai primi di maggio una vignetta satirica in cui un reggicalze, tenuto nel becco da un piccione viaggiatore, veniva portato dall'uccello in questura, un chiaro riferimento all'uomo politico e al delitto.
La notizia suscitò clamore perché venne pubblicata poco prima delle elezioni politiche del 1953. L'estate successiva, segnata dalla caduta dell'ottavo e ultimo Governo De Gasperi e dalla bocciatura della «legge truffa», trascorse senza che la vicenda riaffiorasse nelle cronache.

 

Piero Piccioni e lo scandalo politico

Piero Piccioni querelò per diffamazione il giornalista e il direttore del periodico Vie nuove, Fidia Gambetti. Sforza venne sottoposto a un duro interrogatorio. Lo stesso PCI, partito di riferimento del giornale e agli occhi di tutti unico beneficiario «politico» dello scandalo, disconobbe l'operato del giornalista, accusato di sensazionalismo e minacciato di licenziamento.
Nemmeno sotto interrogatorio Cesarini Sforza citò mai direttamente il nome della fonte da cui ufficialmente veniva la notizia, limitandosi ad affermare che provenisse da «ambienti dei fedeli di De Gasperi» facendo intendere che fosse una faida all'interno della DC.


Anche il padre del giornalista, un influente docente di filosofia all'Università La Sapienza, suggerì al figlio di ritrattare, consiglio vivamente sostenuto anche dal celeberrimo avvocato Francesco Carnelutti, che aveva preso le parti dell'accusa per conto di Piccioni.
L'avvocato di Marco Cesarini Sforza, Giuseppe Sotgiu (già presidente dell'Amministrazione provinciale di Roma ed esponente del PCI) si accordò col collega, e il 31 maggio Cesarini Sforza ritrattò le sue affermazioni. Come ammenda, versò 50.000 lire in beneficenza  e in cambio Piccioni lasciò cadere l'accusa. 
Nonostante nell'immediato lo scandalo per la DC apparisse così escluso, ormai il nome di Piccioni era stato citato ed in seguito sarebbe ritornato pesantemente alla ribalta. Ci sarebbe stato un clamoroso processo...  Ma da qui in poi siamo passati da uno squallido delitto di provincia a un micidiale caso politico; cesso qui la mia cronaca per non "andare fuori tema"! Vorrei però che ne prendeste atto e memoria: ai giorni nostri la stampa si è macchiata di colpe anche maggiori...

 

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