mercoledì 15 gennaio 2020

Librialcinema (IX)


Romanzi gialli al cinema 

influenze della letteratura
sui film gialli e noir 
 

Parte IX

Fanciulle in rosa e spose in nero
Cornel Woolrich era già famoso quando Alfred Hitchcock si accorse di lui. Nel 1942 aveva scritto, sulla rivista dime Detective magazine il racconto It had to be Murder. In tutto una diecina di pagine.





Il regista lo legge nel 1953 e l'anno dopo esce con Rear Window: uno dei capolavori del cinema di tutti i generi. In questo caso parlare di letteratura che si trasferisce sullo schermo mi sembra improprio. Il racconto è come un albero di Natale privo dell'addobbo. Hitchcock lo decora di palle dense di significato e di suspense.



Piccola trama 
Un fotoreporter di   successo, L.B. "Jeff" Jeffries, è costretto su una sedia a rotelle da una frattura alla gamba sinistra riportata in un incidente sul lavoro.



Immobilizzato nel proprio appartamento e annoiato per la forzata inattività, Jeff inizia a osservare i suoi vicini di casa, servendosi di un binocolo e della propria macchina fotografica  dotata di potente  teleobbiettivo. Alla fine  della storia, dopo aver rischiato d'essere ucciso, di gambe rotte ne avrà due! Giusta punizione per un guardone.





Un gioco, un divertissement per non annoiarsi. Coinvolge  nel voyeurismo anche la fidanzata e la governante, che lo asseconda, ma sbotta: "Siamo diventati una razza di guardoni!". La battuta che da molto significato al film. Poi nasce il sospetto e allora non è più un gioco.




Per quasi tutto il film, quando c'è in ballo la maledetta finestra, gli attori non guardano "in macchina". gli spettatori allora la "vedono" riflessa nei loro occhi!






Il romanzo The Bride Wore Balck (La sposa era in nero) è del 1940. Narra di uno sciocco delitto colposo vendicato in modo spietato dalla prematura vedova.


Solo nel 1968 esce il film di Truffaut La mariée etait en noir. Truffaut stranamente lo attribuisce a William Irish, eppure è a firma Cornell!!! 
Una folgorante e letale (perfetta dark lady) Jeanne Moreau interpreta l'inesorabile vedova vendicatrice.






Il film inizia con un mirino telemetrico che vaga per una piazza alla ricerca di un bersaglio, questo invece l'incipit del romanzo.

"Julie, Julie mia." Le parole seguirono la donna giù per le quattro rampe di scale. Era il sussurro più tenero, il grido più potente che potesse uscire da labbra umane. Non valsero a fermarla, né a farla esitare. Quando Julie uscì nella luce del giorno, il suo viso era di un pallore mortale. E questo fu tutto...






Il film viene subito dopo Fahrenheit 451 e ne porta avanti lo stile essenziale, i costumi minimalistici e l'atmosfera rarefatta. Le scene scarne e moderniste non mi sembra giovino al racconto gotico. Ne esce un film ambiguo che ora mostra tutta l'età che ha.




Una riflessione sul doppio (carta-pellicola). Nel romanzo è sfuggente impalpabile e di conseguenza straniante (per il lettore). Nel film invece domina la scena, incombe: la sposa è la Morte che cavalca in cerca delle sue vittime! Jeanne Moreau è brava, ma si muove troppo veloce (è una regola, al cinema, se si vuole sembrare giovani!). Dieci anni prima (Ascensore per il patibolo) andava più lenta, l'avevamo seguita di notte per le strade di Parigi accompagnata dalle note dolenti di Miles Davis. Camminava lentamente, come per far scorrere più lento il tempo e fermare la gioventù e la vita che se ne va.




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