giovedì 2 gennaio 2020

Porte chiuse (5)


Delitti a porte chiuse
non spiare a quella porta!



Parte 5
  

Non voglio infierire sugli accademici ma devo dire che anche sul primato di The Big Bow Mystery ci sono ragionevolidubbi. Balzac, infatti, al termine di Splendeurs et misères des courtisanes (1847), narra di una vittima in una stanza chiusa a chiave dal di dentro.
Restando in Francia è da ricordare anche il romanzo Les Mohicans de Paris (1854)  di Alexandre Dumas, in cui il poliziotto Jackal spiega come una ragazza è stata rapita da una stanza in cui porte e finestre sono chiuse dall’interno.
Andiamo avanti.


Nel 1862, Thomas Bailey Aldrich fu il primo americano a scrivere un poliziesco dopo Edgar Allan Poe, Out of his head. In realtà solo alcuni capitoli del romanzo   sono dedicati all’indagine poliziesca, e guarda caso proprio relativa all’enigma della stanza chiusa.
Il ballerino Mary Ware viene trovato morto, con la gola tagliata, in una stanza chiusa con la chiave all’interno della serratura. Tutte le finestre sono chiuse e non c’è altro ingresso nella stanza.
E' opera ormai dimenticata dal grande pubblico, secondo gli accademici (sempre loro!) ha il grande pregio di essere l'esempio più accattivante di  romanzo poliziesco in cui il protagonista non è solo il detective ma (spoiler tardivo!) anche l'assassino, nel senso che il detective stesso è responsabile dell'omicidio commesso. Una bella bufala insomma!

Per onestà intellettuale bisogna osservare che nei romanzi di Balzac, Dumas e Aldrich troviamo sì l’enigma del delitto impossibile commesso in una stanza chiusa, ma   le indagini non sono al centro della trama e soprattutto: non sono due romanzi polizieschi.

Esiste, per fortuna, un romanzo di Eugène Chavette, sconosciuto qui in Italia, La Chambre du crime (1875), che è a tutti gli effetti un poliziesco. Il romanzo di Chavette, ispirato ad una storia vera e ambientato nella Parigi del 1840 circa, racconta la storia di una coppia che scompare improvvisamente da un appartamento, in cui vengono trovate tracce di sangue. Il giudice incaricato delle indagini sospetta che il marito abbia ucciso la moglie e poi sia fuggito, ma la stanza della donna è chiusa dall’interno e non vi è traccia del cadavere. La Chambre du crime è quindi il primo vero romanzo poliziesco dedicato all’enigma della camera chiusa, circa 16 anni prima della pubblicazione del ben più famoso The Big Bow Mystery (1891) di Israel Zangwill. Abbiamo messo un punto fermo!


La sfida intellettuale della “camera chiusa”
Con la "camera chiusa" la sfida intellettuale che è alla base di ogni buon poliziesco classico, ossia scoprire chi è l’assassino, viene oscurata da un’altra sfida, molto più affascinante e appagante: scoprire come sia riuscito ad uscire l’assassino, lasciando chiuse tutte le porte e le imposte.
Fondamentale è che lo scrittore non inganni il lettore usando passaggi segreti o finte pareti. Lo scrittore deve essere leale con il lettore (lo regolamentò poi S.S. Van Dine), pur giocando con la sua intelligenza.


A quei tempi gli amanti del giallo si cimentavano con l’autore in uno scontro che è più vecchio di quello di Edipo con la  signora (o era un signore?) Sfinge (ma si ricordi anche la Turandot): la soluzione di un enigma. Il resto è contorno, più o meno importante. Meno male che in USA qualcuno già bolliva le uova più del dovuto!



Non ci meravigli  che anche lo scrittore di avventure  fantastiche Jules Verne, forse pressato dal suo editore, scrisse un brutto poliziesco, Un dramma in Livonia (pubblicato nel 1904), che proponeva un mistero della camera chiusa. Verne trasse spunto dal celebre caso «Dreyfus», che aveva sconvolto la Francia dal 1894 al 1902.



Non poteva mancare Conan Doyle che fece cimentare il suo Sherlock Holmes  nella sfida dell’enigma della camera chiusa: The Speckled (1892, La banda maculata).
Nel duello fra "il detective maximo" e il lettore ancora una volta il tema della stanza tutta chiusa al cui interno giace il cadavere costituisce una  sfida affascinante:  mette in gioco sia l’intelligenza dell’investigatore e quella del lettore intento via, via che scorrono nuovi indizi a formulare delle ipotesi. Con Holmes abbiamo il trionfo, ma forse anche il limite (credo che Conan Doyle l'abbia fatto di proposito!)  evidente di questo sotto genere poliziesco, il suo essere nella sostanza solo un exploit intellettuale!
A cavallo di fine secolo '800 (età vittoriana), la "camera chiusa"  fu sviscerata in migliaia di modi, e la casistica del delitto impossibile all’interno di una stanza subì infinite variazioni: vittime al centro di distese di neve o sabbia intatta; ambienti limitati e isolati come manieri, antiche biblioteche, abbazie, treni, aerei, navi. Il fatto che l’omicidio avvenga in uno spazio chiuso o ristretto e il numero limitato di sospettati rende ancora più intrigante il puzzle che deve essere risolto. In questi ambienti chiusi, fondamentali sono le abilità logiche dell’investigatore.
La limitatezza degli ambienti e dei percorsi temporali entro cui si svolge una vicenda poliziesca non può che giovare, in definitiva, alla stessa bontà del suo esito. C'è su questo una vasta tradizione che va dalla Philosophy of Composition di Edgar Allan Poe alle pratiche letterarie di Arthur Conan Doyle. E il giallo, soprattutto quello classico, ha molto profittato degli ambienti chiusi: treni, aerei, navi, case isolate dalla neve.




Voglio bene a zia Agatha, ma questo è il romanzo più brutto (per me) da lei scritto: Dieci piccoli indiani. e sono brutti pure i film da esso tratti.
Nei casi della camera chiusa lo scrittore spesso amplifica la tensione, generata dagli spazi limitati, creando situazioni di confinamento forzato (isole circondate da mari in tempesta, aerei ad alta quota, traversate in mare, un treno che mai si ferma...).
È il caso   del romanzo più ingiustamente celebrato  della Camera Chiusa, Ten little niggers, (Dieci piccoli indiani) di Agatha Christie.
La situazione è forzata, violentata dieri. Dieci persone vengono invitate, da un misterioso signor Owen, a soggiornare a Nigger Island, una piccola isola al largo della costa del Devon. L’assassino, fin dall’inizio, tramite la sua voce registrata su un grammofono, accusa i dieci ospiti di aver commesso crimini che la giustizia non ha potuto punire. Intrappolate sull’isola, le dieci persone iniziano ad essere uccise a una a una, seguendo le rime di un’antica odiosa filastrocca.
In questo caso, è l’isola stessa  la camera chiusa, in quanto gli ospiti non possono comunicare con la terraferma e non hanno alcuna imbarcazione a disposizione, e chi arriverà sull’isola, il giorno dopo, troverà dieci piccoli indiani assassinati e dovrà risolvere il mistero di come l’assassino è riuscito a fuggire dall’isola.

Tralascio, anche di citare, i film... per carità di patria!



 

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