Quando il cuoco
indaga
storie conviviali
per ragazzi d'ogni età
offerte da
Oscar Montani
(05)
Oscar Montani
(05)
Tre
Primi di riso
(prima parte)
Lucie continuava a storcere il suo nasino alla
francese.
« Pino, ti prego! A me gli gnocchi di patate non
piacciono! »
Lui cercò d’essere diplomatico.
« Non sarà perché non ti ho raccontato io la storia? »
La bambina vi voltò un attimo verso di me, mi guardò
furbetta, poi tornò da Pino.
« Anche per quello, tu l’avevi promesso! ».
Pino le sorrise.
« Così però di storie ne senti due. »
« Mica fanno male! »
« Mah, vediamo se si può rimediare... »
Con agilità incredibile, Pino fece un salto in cucina
e tornò con tre piccole ciotole coperte.
« I patti sono patti. Ti avevo preparato questi primi
e anche una storia... »
Mirko deglutì
soddisfatto.
« Bene fratello, allora, c’è dell’altra roba! »
« Deciderà Lucie se dartene un po’. Ora vi racconto
la vera storia degli enigmi di Turandot. Sapete chi fosse? ».
Mirko ci provò.
« Un videogioco? Playstation?».
Samantha, come sempre, era la più attenta.
« Mirko, che ignorante sei! E' la principessa cinese
degli enigmi: “bianca
al pari della giada, fredda come quella spada”. L’ho vista d’estate
a Torre del Lago ».
Pino era soddisfatto.
« Brava, ma la storia non è andata proprio in quel
modo. Solo io, l’ho sentita da un cinese
nel mar della Cina, conosco la verità
vera. »
Il
terzo enigma
E' questione di zucca!
Kalaf, pur indomito, coraggioso e spensierato, quella notte non
aveva dormito. Due immagini lo avevano tormentato: la testa del principe di Persia che
rotolava dal ceppo con tonfi sordi e lo sguardo freddo e implacabile della
bella Turandot. Per quegli occhi di gelo stava per mettere in gioco la sua
vita: una prospettiva che gli piaceva davvero poco.
Da corte, anche se gli
enigmi erano posti in gran segreto, qualcosa era trapelato. Le corti, si sa,
sono sempre in ascolto: le colonne hanno orecchie ed i muri occhi. Con qualche
mancia era facile sciogliere le lingue. A Pechino lo avevano preceduto il
principe di Samarcanda e quello di Damasco: le loro teste si facevano ora
triste compagnia su un vassoio d’argento
posto all’ingresso del palazzo. “Che
tutti sappiano: chi sfida il destino trova ciò che merita”:
questa la condanna che ogni volta pronunciava l’implacabile capo dei mandarini
reali.
Erano due giorni e due
notti che pensava a quegli enigmi. Sui primi due aveva qualche piccola speranza.
Sul terzo ahimè, buio completo: era quello a tormentarlo. Si girava e rigirava
nel letto da ore. Alla fine Subotai, il suo fido scudiero prese coraggio e si
avvicinò.
« Vostra Grazia, vi tormentate per la prova, vero? »
« Sì, Subotai. Non
capisco il terzo enigma ed anche gli altri due li ho risolti a metà. Pensavo
fossero solo quesiti d’amore, che c’entra la cucina? Come faccio, io che sono
poeta e guerriero, a sapere quali sono i tre cibi da accoppiare alle soluzioni? »
Ci sono tante versioni
di questa storia, solo questa è la vera storia degli enigmi, quella che nessuno
conosce. Turandot, cuoca provetta, non si accontentava di proporre enigmi
poetici, ma pretendeva che con la soluzione si individuasse anche un piatto
fatto col riso. Cosa non facile in Cina. Nella sala dove interrogava i
pretendenti c’era apparecchiata una tavola enorme, lunghissima più di
venticinque passi, con sopra più di duecento cinquanta piatti di risotto: ai
funghi, alla rucola, alle rape gialle e a quelle rosse, allo zafferano, alle
melanzane, al nero di seppia, ai piselli freschi, al radicchio, ai carciofi, alla
zucca lardaia, al pesto, ai gamberi, al ragù, a ... “a quello che non dico ce lo metti tu!”. Difficile indovinare
l’enigma, ancora di più accoppiare la soluzione a un risotto!
Subotai, l’arciere più
bravo del mondo, l’unico uomo che riusciva a colpire un passero in volo, era
teso. Stringeva gli occhi come dovesse prendere la mira.
« Principe Kalaf,
credo che dovreste chiedere a Mish Ong. »
Kalaf guardò Subotai.
« Chi sarebbe? »
« Il nostro cuoco. Vi
serve in silenzio da più di tre anni: umile, fedele e tanto bravo: vi sarete
accorto di quanto mangiate bene. E’ cinese, originario delle campagne di
Nanchino. Lui conosce tutti i modi cinesi di cucinare il riso. »
« Ma non devo mica
mangiare! »
« Lo so. Dovete
salvare la testa per sposare la bella Turandot: voi pensate agli enigmi, Mish
Ong al riso. »
Perduta ogni speranza,
anche un oscuro cuoco cinese poteva essere utile. Kalaf lo fece venire. Il
cuoco ascoltò in silenzio le due ipotesi di soluzione che aveva in testa il
principe Kalaf. Ci pensò su un po’, poi espresse la sua scelta.
« Principe, in Cina i
colori sono molto importanti. Sono un modo di mandare messaggi, di mostrare
gioia o dolore, di offrire o chiedere amore, di raccontare emozioni, di dire
cose segrete. Credo che la soluzione sia nei colori del cibo: infatti
Turandot non chiede di assaggiare i risotti, ma solo di sceglierli. Se la
soluzione del primo enigma è, come voi dite, “la speranza”, dovete cercare
sulla tavola un risotto ai piselli freschi, perché il colore della speranza è il verde. »
Si rimise a pensare. Kalaf
era sulle spine, cominciava, però, ad aver fiducia nel suo cuoco, che non si
fece attendere troppo.
« Vostra grazia. Mi
dite che la soluzione al secondo enigma e “il sangue”. Ebbene dovete cercare
sulla tavola il risotto più rosso che c’è. Forse è alle bietole rosse, ma non
vi preoccupate con cosa è fatto: cercate solo quello che di più assomiglia al colore
del sangue che sgorga da una ferita. »
Mish Ong allargò le
braccia sconsolato.
« Principe, per il
terzo non so. Se voi stesso non avete idea, io non posso indirizzarvi e neppure
posso venire con voi davanti alla fredda fanciulla. Però... »
« Però? »
« I cinesi, di solito,
non insistono troppo con i colori accesi. Li alternano con qualcosa di tenue.
Fatevi ispirare dalla semplicità: la soluzione sarà quella che vi sembrerà
quasi invisibile. Di più non so, né voglio dirvi, per non confondevi. »
(05 - segue)
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