domenica 19 aprile 2020

CUOCOINDAGA (10)


Quando il cuoco
indaga


storie conviviali  

per ragazzi d'ogni età
offerte da
Oscar Montani
(10)
 Cinque
Secondi succosi

 
La prova del cuoco
Quando tutti furono presenti prese la parola il Borgomastro: Marcel di Pons de Salignac.
« Cari concittadini. So che vorreste ribellarvi ai gusti italiani del vescovo. Io sono con voi, ma dovete pazientare. Dobbiamo provare ancora con la gentilezza. Caterina dei Medici non vuole disordini e desidera la pace, il rispetto delle idee e... dei gusti. »
Un giovane allevatore si alzò.
« Gentilezza? La chiami gentilezza l’arroganza di mangiare pubblicamente carne di vacca? E questa, come la chiami. Pace? »
Aveva la fronte tumefatta. Doveva essere uno di quelli che si era scambiato saluti con gli scalpellini. La folla mormorò. Il giovane riprese con foga.
« Parola mia, com’è vero che mi chiamo Francois, credo che la colpa sia tutta del suo cuoco, quel mastro Lapo. Sempre a prendere in giro e a parlare male delle nostre confits. Dobbiamo trattarlo come un’oca. Se non vuole assaggiare il foie gras che  portiamo a Sua Eccellenza il vescovo,  noi glielo faremo mangiare come fosse un’oca: a forza. »
Mastro Lapo, nascosto dietro l’ombra di una colonna deglutì amaro. Fino a quel momento, pur consapevole d’essersi imbarcato in un’indagine pericolosa, s’era sentito tranquillo. Di colpo ebbe la sgradevole sensazione d’essere in pericolo di morte. Quei rozzi contadini erano capaci d’incredibili violenze.
Ascoltò terrorizzato  il terribile e barbaro progetto che gli allevatori avevano macchinato. Poi, con le gambe che gli cedevano, pian  piano si avviò tremante all’uscita. Sconsolato vagò per le strade buie e deserte. Gli piaceva quella città e grazie all’opera degli artisti assoldati del vescovo Gaddi, era sempre più simile ad una piccola Firenze. Pensò di fuggire, ma non era da lui e il Vescovo l’avrebbe visto come un tradimento. Pensò anche di denunciare la cosa al vescovo: ma a che sarebbe servito? Caterina chiedeva tolleranza, pace. E poi:  la politica dei potenti non poteva occuparsi di un’indigestione, anche se mortale, di un semplice cuoco. Pensò tutta la notte; solo al mattino credette d’aver trovato una soluzione.


 
La grande sala del mercato coperto era gremita di persone. Etienne aveva fatto un gran lavoro: sgusciando tra bancarelle, infilandosi nelle osterie e nelle botteghe aveva fatto sapere a tutti della gara di cucina. Più che una gara era un esame.
Mastro Lapo avrebbe cucinato un piatto speciale per una giuria di allevatori. Loro avrebbero espresso un giudizio e Lapo si sarebbe comportato di conseguenza: se quel cibo piaceva la ricetta sarebbe restata un segreto e lui, come cuoco del Vescovo, l’avrebbe preparata una volta all’anno per carnevale. Se non piaceva avrebbe rivelato il segreto e per un mese avrebbe mangiato solo confits e foie gras.
Marcel di Pons de Salignac non voleva far brutte figure, nonostante le resistenze degli allevatori più rissosi, nominò una giuria di probi viri, anzi di probi buongustai. Se il loro parere fosse stato in equilibrio, un ultimo giurato, Francois, che godeva la fiducia degli allevatori, avrebbe fatto da ago della bilancia.
All’ora prestabilita mastro Lapo arrivò con una pentola enorme e fumante trainata, su un carro agricolo, da due vacche “chianine”. Si era sparsa la voce che nella pentola c’erano a bollire interiora d’oca: nessuno osò protestare. Inoltre tutto quel mistero sulla ricetta aveva polarizzato l’attenzione.
La pentola fu issata sul fuoco con un argano. Per sollevarla ci vollero tre uomini. Poi fu issata sul palco della giuria una grande cesta di piccoli pani. Mastro Lapo salì sulla pedana e cominciò a rimestare, ad assaggiare  ed aggiungere spezie. L’odore si diffondeva tra la gente. Arrivò anche alle narici del capo della giuria, il suocero del Borgomastro.
«  Carissimo mastro Lapo, al piacere di sapervi  finalmente convertito all’uso della nostra carne, si aggiunge un odore che sa di paradiso. Penso che quello che ci prepara sia davvero eccellente. »
« Non sta a me parlar bene di quel che cucino: la giuria siete voi. Vorrei solo spiegare che per permettervi di gustare meglio la sinfonia di sapori che sprigiona da questo piatto d’ispirazione fiorentina, ho fatto cucinare pagnotte di grano saraceno: più leggere e di delicato sapore. Voi avete solo da aprirle in due e poi versarci sopra il mio Lampredotto. »
« Lampredotto! Nome assai bizzarro. Mica verrà da lampreda? Le lamproie, che io sappia è un pesce dei nostri fiumi. »
« Il nesso c’è, ma con il nome italiano. Le interiora, quando sono state pulite, stanno a mezz’acqua come piccole lamprede. »
Mastro Lapo rimestò ancora a lungo. Voleva anche che il vapore, saturo di gustose essenze, stordisse gli affamati giurati. Arrivò infine l’ultimo assaggio.
« E’ pronto, avete aperto in due le vostre pagnotte? »

 
Gli passarono le scodelle con le pagnotte spalancate. Lapo le riempì di strisce di carne odorosa: sopra ci fece scolare il brodo fumante. Mentre tra la folla degli “spettatori” calava un languido silenzio, la giuria emetteva mugolii di puro godimento. Senza che si sentisse pronunciar parola tornarono indietro le sei scodelle con altre pagnotte aperte. Al terzo passaggio la pentola cominciava a essere quasi vuota: sei giurati affamati non sono uno scherzo. Il giovane Francois fece le sue interessate rimostranze.
« Fermatevi! Se poi siete in pareggio,   cosa mi rimane da  assaggiare? »
« Francois, ti sembriamo forse dubbiosi? »
« No, ma... io sono il rappresentante degli allevatori, ho il diritto di sapere! »
Mastro Lapo prese una scodella e fece una porzione abbondante per il giovane. Francois la divorò e poi espresse il suo giudizio.
« Complimenti: è divina! Mastro Lapo, però ci dovrebbe ringraziare: Le abbiamo fatto scoprire che con le oche è possibile anche il rinascimento della cucina francese! »



Lucie sul lampredotto era preparata.
« Il Lampredotto(*) non si fa con le budella d’oca! E’ una parte dello stomaco delle  vacche... »
Guardò sospettosa Joseph che ridacchiava dentro lo smart phone.
« ...Ecco perché a tirare la pentola c’erano solo due vacche. Joseph ghignò.
« Brava: una mossa diversiva di mastro Lapo. Il cuoco dimostrò a tutti, senza darlo da vedere, che in cucina conta il gusto e il sapore non quello che si usa. Nei sapori dei cibi si trova l’amore del cuoco. »
Samantha si voltò verso Pino.
« Pino, non mi dire che hai preparato il Lampredotto? »
« Certo, e pagnotte di grano saraceno, così te ne levi la voglia. »
Joseph da dentro lo smart phone fece una smorfia: non poteva sedersi a tavola con noi: paraddossale: era l’unico francese di Sarlat a conoscere il segreto di mastro Lapo e non poteva assaggiarne l'interpretazione di Pino!



(*)
Per preparare il lampredotto alla fiorentina:
lampredotto in gran quantità ,  rametti di rosmarino,   spicchi d’aglio ,  vino bianco secco ,  concentrato di pomodoro, olio extra vergine di oliva, sale e pepe



Quando tutti furono presenti prese la parola il Borgomastro: Marcel di Pons de Salignac.
« Cari concittadini. So che vorreste ribellarvi ai gusti italiani del vescovo. Io sono con voi, ma dovete pazientare. Dobbiamo provare ancora con la gentilezza. Caterina dei Medici non vuole disordini e desidera la pace, il rispetto delle idee e... dei gusti. »
Un giovane allevatore si alzò.
« Gentilezza? La chiami gentilezza l’arroganza di mangiare pubblicamente carne di vacca? E questa, come la chiami. Pace? »
Aveva la fronte tumefatta. Doveva essere uno di quelli che si era scambiato saluti con gli scalpellini. La folla mormorò. Il giovane riprese con foga.
« Parola mia, com’è vero che mi chiamo Francois, credo che la colpa sia tutta del suo cuoco, quel mastro Lapo. Sempre a prendere in giro e a parlare male delle nostre confits. Dobbiamo trattarlo come un’oca. Se non vuole assaggiare il foie gras che  portiamo a Sua Eccellenza il vescovo,  noi glielo faremo mangiare come fosse un’oca: a forza. »
Mastro Lapo, nascosto dietro l’ombra di una colonna deglutì amaro. Fino a quel momento, pur consapevole d’essersi imbarcato in un’indagine pericolosa, s’era sentito tranquillo. Di colpo ebbe la sgradevole sensazione d’essere in pericolo di morte. Quei rozzi contadini erano capaci d’incredibili violenze.
Ascoltò terrorizzato  il terribile e barbaro progetto che gli allevatori avevano macchinato. Poi, con le gambe che gli cedevano, pian  piano si avviò tremante all’uscita. Sconsolato vagò per le strade buie e deserte. Gli piaceva quella città e grazie all’opera degli artisti assoldati del vescovo Gaddi, era sempre più simile ad una piccola Firenze. Pensò di fuggire, ma non era da lui e il Vescovo l’avrebbe visto come un tradimento. Pensò anche di denunciare la cosa al vescovo: ma a che sarebbe servito? Caterina chiedeva tolleranza, pace. E poi:  la politica dei potenti non poteva occuparsi di un’indigestione, anche se mortale, di un semplice cuoco. Pensò tutta la notte; solo al mattino credette d’aver trovato una soluzione.

La grande sala del mercato coperto era gremita di persone. Etienne aveva fatto un gran lavoro: sgusciando tra bancarelle, infilandosi nelle osterie e nelle botteghe aveva fatto sapere a tutti della gara di cucina. Più che una gara era un esame.
Mastro Lapo avrebbe cucinato un piatto speciale per una giuria di allevatori. Loro avrebbero espresso un giudizio e Lapo si sarebbe comportato di conseguenza: se quel cibo piaceva la ricetta sarebbe restata un segreto e lui, come cuoco del Vescovo, l’avrebbe preparata una volta all’anno per carnevale. Se non piaceva avrebbe rivelato il segreto e per un mese avrebbe mangiato solo confits e foie gras.
Marcel di Pons de Salignac non voleva far brutte figure, nonostante le resistenze degli allevatori più rissosi, nominò una giuria di probi viri, anzi di probi buongustai. Se il loro parere fosse stato in equilibrio, un ultimo giurato, Francois, che godeva la fiducia degli allevatori, avrebbe fatto da ago della bilancia.
All’ora prestabilita mastro Lapo arrivò con una pentola enorme e fumante trainata, su un carro agricolo, da due vacche “chianine”. Si era sparsa la voce che nella pentola c’erano a bollire interiora d’oca: nessuno osò protestare. Inoltre tutto quel mistero sulla ricetta aveva polarizzato l’attenzione.
La pentola fu issata sul fuoco con un argano. Per sollevarla ci vollero tre uomini. Poi fu issata sul palco della giuria una grande cesta di piccoli pani. Mastro Lapo salì sulla pedana e cominciò a rimestare, ad assaggiare  ed aggiungere spezie. L’odore si diffondeva tra la gente. Arrivò anche alle narici del capo della giuria, il suocero del Borgomastro.
«  Carissimo mastro Lapo, al piacere di sapervi  finalmente convertito all’uso della nostra carne, si aggiunge un odore che sa di paradiso. Penso che quello che ci prepara sia davvero eccellente. »
« Non sta a me parlar bene di quel che cucino: la giuria siete voi. Vorrei solo spiegare che per permettervi di gustare meglio la sinfonia di sapori che sprigiona da questo piatto d’ispirazione fiorentina, ho fatto cucinare pagnotte di grano saraceno: più leggere e di delicato sapore. Voi avete solo da aprirle in due e poi versarci sopra il mio Lampredotto. »
« Lampredotto! Nome assai bizzarro. Mica verrà da lampreda? Le lamproie, che io sappia è un pesce dei nostri fiumi. »
« Il nesso c’è, ma con il nome italiano. Le interiora, quando sono state pulite, stanno a mezz’acqua come piccole lamprede. »
Mastro Lapo rimestò ancora a lungo. Voleva anche che il vapore, saturo di gustose essenze, stordisse gli affamati giurati. Arrivò infine l’ultimo assaggio.
« E’ pronto, avete aperto in due le vostre pagnotte? »
Gli passarono le scodelle con le pagnotte spalancate. Lapo le riempì di strisce di carne odorosa: sopra ci fece scolare il brodo fumante. Mentre tra la folla degli “spettatori” calava un languido silenzio, la giuria emetteva mugolii di puro godimento. Senza che si sentisse pronunciar parola tornarono indietro le sei scodelle con altre pagnotte aperte. Al terzo passaggio la pentola cominciava a essere quasi vuota: sei giurati affamati non sono uno scherzo. Il giovane Francois fece le sue interessate rimostranze.
« Fermatevi! Se poi siete in pareggio,   cosa mi rimane da  assaggiare? »
« Francois, ti sembriamo forse dubbiosi? »
« No, ma... io sono il rappresentante degli allevatori, ho il diritto di sapere! »
Mastro Lapo prese una scodella e fece una porzione abbondante per il giovane. Francois la divorò e poi espresse il suo giudizio.
« Complimenti: è divina! Mastro Lapo, però ci dovrebbe ringraziare: Le abbiamo fatto scoprire che con le oche è possibile anche il rinascimento della cucina francese! »



Lucie sul lampredotto era preparata.
« Il Lampredotto(*) non si fa con le budella d’oca! E’ una parte dello stomaco delle  vacche... »
Guardò sospettosa Joseph che ridacchiava dentro lo smart phone.
« ...Ecco perché a tirare la pentola c’erano solo due vacche. Joseph ghignò.
« Brava: una mossa diversiva di mastro Lapo. Il cuoco dimostrò a tutti, senza darlo da vedere, che in cucina conta il gusto e il sapore non quello che si usa. Nei sapori dei cibi si trova l’amore del cuoco. »
Samantha si voltò verso Pino.
« Pino, non mi dire che hai preparato il Lampredotto? »
« Certo, e pagnotte di grano saraceno, così te ne levi la voglia. »
Joseph da dentro lo smart phone fece una smorfia: non poteva sedersi a tavola con noi: paraddossale: era l’unico francese di Sarlat a conoscere il segreto di mastro Lapo e non poteva assaggiarne l'interpretazione di Pino!



(*)
Per preparare il lampredotto alla fiorentina:
lampredotto in gran quantità ,  rametti di rosmarino,   spicchi d’aglio ,  vino bianco secco ,  concentrato di pomodoro, olio extra vergine di oliva, sale e pepe

(10 - segue)
 

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