Quando il cuoco
indaga
storie conviviali
per ragazzi d'ogni età
offerte da
Oscar Montani
(10)
Oscar Montani
(10)
Cinque
Secondi succosi
La prova del cuoco
Quando tutti furono
presenti prese la parola il Borgomastro: Marcel di Pons de Salignac.
« Cari concittadini.
So che vorreste ribellarvi ai gusti italiani del vescovo. Io sono con voi, ma dovete
pazientare. Dobbiamo provare ancora con la gentilezza. Caterina dei Medici non
vuole disordini e desidera la pace, il rispetto delle idee e... dei gusti. »
Un giovane allevatore
si alzò.
« Gentilezza? La
chiami gentilezza l’arroganza di mangiare pubblicamente carne di vacca? E
questa, come la chiami. Pace? »
Aveva la fronte
tumefatta. Doveva essere uno di quelli che si era scambiato saluti con gli
scalpellini. La folla mormorò. Il giovane riprese con foga.
« Parola mia, com’è
vero che mi chiamo Francois, credo che la colpa sia tutta del suo cuoco, quel
mastro Lapo. Sempre a prendere in giro e a parlare male delle nostre confits.
Dobbiamo trattarlo come un’oca. Se non vuole assaggiare il foie gras che portiamo a Sua Eccellenza il vescovo, noi glielo faremo mangiare come fosse un’oca:
a forza. »
Mastro Lapo, nascosto
dietro l’ombra di una colonna deglutì amaro. Fino a quel momento, pur
consapevole d’essersi imbarcato in un’indagine pericolosa, s’era sentito
tranquillo. Di colpo ebbe la sgradevole sensazione d’essere in pericolo di
morte. Quei rozzi contadini erano capaci d’incredibili violenze.
Ascoltò terrorizzato il terribile e barbaro progetto che gli
allevatori avevano macchinato. Poi, con le gambe che gli cedevano, pian piano si avviò tremante all’uscita.
Sconsolato vagò per le strade buie e deserte. Gli piaceva quella città e grazie
all’opera degli artisti assoldati del vescovo Gaddi, era sempre più simile ad
una piccola Firenze. Pensò di fuggire, ma non era da lui e il Vescovo l’avrebbe
visto come un tradimento. Pensò anche di denunciare la cosa al vescovo: ma a
che sarebbe servito? Caterina chiedeva tolleranza, pace. E poi: la politica dei potenti non poteva occuparsi
di un’indigestione, anche se mortale, di un semplice cuoco. Pensò tutta la
notte; solo al mattino credette d’aver trovato una soluzione.
La grande sala del
mercato coperto era gremita di persone. Etienne aveva fatto un gran lavoro:
sgusciando tra bancarelle, infilandosi nelle osterie e nelle botteghe aveva
fatto sapere a tutti della gara di cucina. Più che una gara era un esame.
Mastro Lapo avrebbe
cucinato un piatto speciale per una giuria di allevatori. Loro avrebbero
espresso un giudizio e Lapo si sarebbe comportato di conseguenza: se quel cibo
piaceva la ricetta sarebbe restata un segreto e lui, come cuoco del Vescovo,
l’avrebbe preparata una volta all’anno per carnevale. Se non piaceva avrebbe
rivelato il segreto e per un mese avrebbe mangiato solo confits e foie gras.
Marcel di Pons de
Salignac non voleva far brutte figure, nonostante le resistenze degli
allevatori più rissosi, nominò una giuria di probi viri, anzi di probi
buongustai. Se il loro parere fosse stato in equilibrio, un ultimo giurato, Francois,
che godeva la fiducia degli allevatori, avrebbe fatto da ago della bilancia.
All’ora prestabilita
mastro Lapo arrivò con una pentola enorme e fumante trainata, su un carro
agricolo, da due vacche “chianine”. Si era sparsa la voce che nella pentola
c’erano a bollire interiora d’oca: nessuno osò protestare. Inoltre tutto quel
mistero sulla ricetta aveva polarizzato l’attenzione.
La pentola fu issata
sul fuoco con un argano. Per sollevarla ci vollero tre uomini. Poi fu issata
sul palco della giuria una grande cesta di piccoli pani. Mastro Lapo salì sulla
pedana e cominciò a rimestare, ad assaggiare
ed aggiungere spezie. L’odore si diffondeva tra la gente. Arrivò anche alle
narici del capo della giuria, il suocero del Borgomastro.
« Carissimo mastro Lapo, al piacere di sapervi finalmente convertito all’uso della nostra
carne, si aggiunge un odore che sa di paradiso. Penso che quello che ci prepara
sia davvero eccellente. »
« Non sta a me parlar
bene di quel che cucino: la giuria siete voi. Vorrei solo spiegare che per
permettervi di gustare meglio la sinfonia di sapori che sprigiona da questo
piatto d’ispirazione fiorentina, ho fatto cucinare pagnotte di grano saraceno:
più leggere e di delicato sapore. Voi avete solo da aprirle in due e poi
versarci sopra il mio Lampredotto. »
« Lampredotto! Nome
assai bizzarro. Mica verrà da lampreda? Le lamproie,
che io sappia è un pesce dei nostri fiumi. »
« Il nesso c’è, ma con
il nome italiano. Le interiora, quando sono state pulite, stanno a mezz’acqua
come piccole lamprede. »
Mastro Lapo rimestò
ancora a lungo. Voleva anche che il vapore, saturo di gustose essenze,
stordisse gli affamati giurati. Arrivò infine l’ultimo assaggio.
Gli passarono le
scodelle con le pagnotte spalancate. Lapo le riempì di strisce di carne odorosa:
sopra ci fece scolare il brodo fumante. Mentre tra la folla degli “spettatori”
calava un languido silenzio, la giuria emetteva mugolii di puro godimento.
Senza che si sentisse pronunciar parola tornarono indietro le sei scodelle con
altre pagnotte aperte. Al terzo passaggio la pentola cominciava a essere quasi
vuota: sei giurati affamati non sono uno scherzo. Il giovane Francois fece le
sue interessate rimostranze.
« Fermatevi! Se poi
siete in pareggio, cosa mi rimane da assaggiare? »
« Francois, ti
sembriamo forse dubbiosi? »
« No, ma... io sono il
rappresentante degli allevatori, ho il diritto di sapere! »
Mastro Lapo prese una
scodella e fece una porzione abbondante per il giovane. Francois la divorò e
poi espresse il suo giudizio.
« Complimenti: è
divina! Mastro Lapo, però ci dovrebbe ringraziare: Le abbiamo fatto scoprire
che con le oche è possibile anche il rinascimento della cucina francese! »
Lucie sul lampredotto era preparata.
« Il Lampredotto(*) non si fa con le
budella d’oca! E’ una parte dello stomaco delle vacche... »
Guardò sospettosa Joseph che ridacchiava dentro lo
smart phone.
« ...Ecco perché a tirare la pentola c’erano solo due
vacche. Joseph ghignò.
« Brava: una mossa diversiva di mastro Lapo. Il cuoco
dimostrò a tutti, senza darlo da vedere, che in cucina conta il gusto e il
sapore non quello che si usa. Nei sapori dei cibi si trova l’amore del cuoco. »
Samantha si voltò verso Pino.
« Pino, non mi dire che hai preparato il Lampredotto?
»
« Certo, e pagnotte di grano saraceno, così te ne
levi la voglia. »
Joseph da dentro lo smart phone fece una smorfia: non
poteva sedersi a tavola con noi: paraddossale: era l’unico francese di Sarlat a
conoscere il segreto di mastro Lapo e non poteva assaggiarne l'interpretazione
di Pino!
(*)
Per preparare il
lampredotto alla fiorentina:
lampredotto in gran quantità , rametti di rosmarino, spicchi d’aglio , vino bianco secco , concentrato di pomodoro, olio extra vergine
di oliva, sale e pepe
Quando tutti furono
presenti prese la parola il Borgomastro: Marcel di Pons de Salignac.
« Cari concittadini.
So che vorreste ribellarvi ai gusti italiani del vescovo. Io sono con voi, ma dovete
pazientare. Dobbiamo provare ancora con la gentilezza. Caterina dei Medici non
vuole disordini e desidera la pace, il rispetto delle idee e... dei gusti. »
Un giovane allevatore
si alzò.
« Gentilezza? La
chiami gentilezza l’arroganza di mangiare pubblicamente carne di vacca? E
questa, come la chiami. Pace? »
Aveva la fronte
tumefatta. Doveva essere uno di quelli che si era scambiato saluti con gli
scalpellini. La folla mormorò. Il giovane riprese con foga.
« Parola mia, com’è
vero che mi chiamo Francois, credo che la colpa sia tutta del suo cuoco, quel
mastro Lapo. Sempre a prendere in giro e a parlare male delle nostre confits.
Dobbiamo trattarlo come un’oca. Se non vuole assaggiare il foie gras che portiamo a Sua Eccellenza il vescovo, noi glielo faremo mangiare come fosse un’oca:
a forza. »
Mastro Lapo, nascosto
dietro l’ombra di una colonna deglutì amaro. Fino a quel momento, pur
consapevole d’essersi imbarcato in un’indagine pericolosa, s’era sentito
tranquillo. Di colpo ebbe la sgradevole sensazione d’essere in pericolo di
morte. Quei rozzi contadini erano capaci d’incredibili violenze.
Ascoltò terrorizzato il terribile e barbaro progetto che gli
allevatori avevano macchinato. Poi, con le gambe che gli cedevano, pian piano si avviò tremante all’uscita.
Sconsolato vagò per le strade buie e deserte. Gli piaceva quella città e grazie
all’opera degli artisti assoldati del vescovo Gaddi, era sempre più simile ad
una piccola Firenze. Pensò di fuggire, ma non era da lui e il Vescovo l’avrebbe
visto come un tradimento. Pensò anche di denunciare la cosa al vescovo: ma a
che sarebbe servito? Caterina chiedeva tolleranza, pace. E poi: la politica dei potenti non poteva occuparsi
di un’indigestione, anche se mortale, di un semplice cuoco. Pensò tutta la
notte; solo al mattino credette d’aver trovato una soluzione.
La grande sala del
mercato coperto era gremita di persone. Etienne aveva fatto un gran lavoro:
sgusciando tra bancarelle, infilandosi nelle osterie e nelle botteghe aveva
fatto sapere a tutti della gara di cucina. Più che una gara era un esame.
Mastro Lapo avrebbe
cucinato un piatto speciale per una giuria di allevatori. Loro avrebbero
espresso un giudizio e Lapo si sarebbe comportato di conseguenza: se quel cibo
piaceva la ricetta sarebbe restata un segreto e lui, come cuoco del Vescovo,
l’avrebbe preparata una volta all’anno per carnevale. Se non piaceva avrebbe
rivelato il segreto e per un mese avrebbe mangiato solo confits e foie gras.
Marcel di Pons de
Salignac non voleva far brutte figure, nonostante le resistenze degli
allevatori più rissosi, nominò una giuria di probi viri, anzi di probi
buongustai. Se il loro parere fosse stato in equilibrio, un ultimo giurato, Francois,
che godeva la fiducia degli allevatori, avrebbe fatto da ago della bilancia.
All’ora prestabilita
mastro Lapo arrivò con una pentola enorme e fumante trainata, su un carro
agricolo, da due vacche “chianine”. Si era sparsa la voce che nella pentola
c’erano a bollire interiora d’oca: nessuno osò protestare. Inoltre tutto quel
mistero sulla ricetta aveva polarizzato l’attenzione.
La pentola fu issata
sul fuoco con un argano. Per sollevarla ci vollero tre uomini. Poi fu issata
sul palco della giuria una grande cesta di piccoli pani. Mastro Lapo salì sulla
pedana e cominciò a rimestare, ad assaggiare
ed aggiungere spezie. L’odore si diffondeva tra la gente. Arrivò anche alle
narici del capo della giuria, il suocero del Borgomastro.
« Carissimo mastro Lapo, al piacere di sapervi finalmente convertito all’uso della nostra
carne, si aggiunge un odore che sa di paradiso. Penso che quello che ci prepara
sia davvero eccellente. »
« Non sta a me parlar
bene di quel che cucino: la giuria siete voi. Vorrei solo spiegare che per
permettervi di gustare meglio la sinfonia di sapori che sprigiona da questo
piatto d’ispirazione fiorentina, ho fatto cucinare pagnotte di grano saraceno:
più leggere e di delicato sapore. Voi avete solo da aprirle in due e poi
versarci sopra il mio Lampredotto. »
« Lampredotto! Nome
assai bizzarro. Mica verrà da lampreda? Le lamproie,
che io sappia è un pesce dei nostri fiumi. »
« Il nesso c’è, ma con
il nome italiano. Le interiora, quando sono state pulite, stanno a mezz’acqua
come piccole lamprede. »
Mastro Lapo rimestò
ancora a lungo. Voleva anche che il vapore, saturo di gustose essenze,
stordisse gli affamati giurati. Arrivò infine l’ultimo assaggio.
« E’ pronto, avete aperto
in due le vostre pagnotte? »
Gli passarono le
scodelle con le pagnotte spalancate. Lapo le riempì di strisce di carne odorosa:
sopra ci fece scolare il brodo fumante. Mentre tra la folla degli “spettatori”
calava un languido silenzio, la giuria emetteva mugolii di puro godimento.
Senza che si sentisse pronunciar parola tornarono indietro le sei scodelle con
altre pagnotte aperte. Al terzo passaggio la pentola cominciava a essere quasi
vuota: sei giurati affamati non sono uno scherzo. Il giovane Francois fece le
sue interessate rimostranze.
« Fermatevi! Se poi
siete in pareggio, cosa mi rimane da assaggiare? »
« Francois, ti
sembriamo forse dubbiosi? »
« No, ma... io sono il
rappresentante degli allevatori, ho il diritto di sapere! »
Mastro Lapo prese una
scodella e fece una porzione abbondante per il giovane. Francois la divorò e
poi espresse il suo giudizio.
« Complimenti: è
divina! Mastro Lapo, però ci dovrebbe ringraziare: Le abbiamo fatto scoprire
che con le oche è possibile anche il rinascimento della cucina francese! »
Lucie sul lampredotto era preparata.
« Il Lampredotto(*) non si fa con le
budella d’oca! E’ una parte dello stomaco delle vacche... »
Guardò sospettosa Joseph che ridacchiava dentro lo
smart phone.
« ...Ecco perché a tirare la pentola c’erano solo due
vacche. Joseph ghignò.
« Brava: una mossa diversiva di mastro Lapo. Il cuoco
dimostrò a tutti, senza darlo da vedere, che in cucina conta il gusto e il
sapore non quello che si usa. Nei sapori dei cibi si trova l’amore del cuoco. »
Samantha si voltò verso Pino.
« Pino, non mi dire che hai preparato il Lampredotto?
»
« Certo, e pagnotte di grano saraceno, così te ne
levi la voglia. »
Joseph da dentro lo smart phone fece una smorfia: non
poteva sedersi a tavola con noi: paraddossale: era l’unico francese di Sarlat a
conoscere il segreto di mastro Lapo e non poteva assaggiarne l'interpretazione
di Pino!
(*)
Per preparare il
lampredotto alla fiorentina:
lampredotto in gran quantità , rametti di rosmarino, spicchi d’aglio , vino bianco secco , concentrato di pomodoro, olio extra vergine
di oliva, sale e pepe
(10 - segue)
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