Quando il cuoco
indaga
storie conviviali
per ragazzi d'ogni età
offerte da
Oscar Montani
(15)
Oscar Montani
(15)
Otto
(1)
(1)
Etichette in chiaro
Mi affacciai dal
balcone. La neve durante la notte s'era sciolta e c'era pure il sole. Quel
mattino dovevo fare la spesa. Lucie si accorse che avevo in mano la borsa.
« Vai te al
mercato? »
« Un cuoco dovrebbe
fare la spesa di persona: per esser sicuro degli ingredienti, ma Pino si fida. »
Lucie era
scettica.
« Io non mi
fiderei. Ormai è tutto confezionato col polistirolo sotto e un foglio di
plastica sopra, come lo speck di ieri sera. Che vedi? E non puoi nemmeno
annusare le vaschette. »
Samantha non
era d’accordo.
« Non sarebbe
igienico e poi ci sono apposta le etichette. Vanno lette e esaminate bene.
Bisogna stare attenti ai conservanti. Tu Corto, te l'avrà detto Pino, prendi
solo la roba che non ce l’ha. »
« Certo, ora
che mi hai insegnato ci starò attento: è sempre importante leggere le etichette
prima di comprare. Oggi però vado alle bancarelle del mercato. »
« Lì non ci
sono etichette? »
« Solo cartelli
col prezzo. Ma in quelle della verdura, per qualche cosa precotta, come fagioli,
ceci, bietole o rape, si vedono ancora cartelli con scritte estrose. »
Samantha si
ricordò.
« Sì, l’ho
viste anche in una bottega di via Don Bosco: ci sono salse e marmellate di
tutti i tipi. Quel signore le disegna lui. »
« Ah sì? Sapete,
mi avete fatto tornare in mente una storia. Oggi quando si mangia voglio
raccontarvela. Non c'entra un cuoco, ma è un fuori programma per mangiare
consapevoli, capirete dopo! »
L’importanza delle etichette
Mi affacciai dal
balcone. La neve durante la notte s'era sciolta e c'era pure il sole. Quel
mattino dovevo fare la spesa. Lucie si accorse che avevo in mano la borsa.
« Vai te al
mercato? »
« Un cuoco dovrebbe
fare la spesa di persona: per esser sicuro degli ingredienti, ma Pino si fida. »
Lucie era
scettica.
« Io non mi
fiderei. Ormai è tutto confezionato col polistirolo sotto e un foglio di
plastica sopra, come lo speck di ieri sera. Che vedi? E non puoi nemmeno
annusare le vaschette. »
Samantha non
era d’accordo.
« Non sarebbe
igienico e poi ci sono apposta le etichette. Vanno lette e esaminate bene.
Bisogna stare attenti ai conservanti. Tu Corto, te l'avrà detto Pino, prendi
solo la roba che non ce l’ha. »
« Certo, ora
che mi hai insegnato ci starò attento: è sempre importante leggere le etichette
prima di comprare. Oggi però vado alle bancarelle del mercato. »
« Lì non ci
sono etichette? »
« Solo cartelli
col prezzo. Ma in quelle della verdura, per qualche cosa precotta, come fagioli,
ceci, bietole o rape, si vedono ancora cartelli con scritte estrose. »
Samantha si
ricordò.
« Sì, l’ho
viste anche in una bottega di via Don Bosco: ci sono salse e marmellate di
tutti i tipi. Quel signore le disegna lui. »
« Ah sì? Sapete,
mi avete fatto tornare in mente una storia. Oggi quando si mangia voglio
raccontarvela. Non c'entra un cuoco, ma è un fuori programma per mangiare
consapevoli, capirete dopo! »
Un uomo del nord
Markus veniva dal nord, da lontano, da molto lontano.
Era fuggito e vedeva spie dappertutto. Ogni volta che gli facevano quella
domanda, e gli succedeva sempre più spesso, si sentiva in pericolo.
« Come fai a chiamarti Pelonero, e fare il pesciaiolo? »
Papazzino lo guardava di traverso con l’unico occhio.
« Non funziona. Non c’è nulla da fare: i pesci non
hanno peli e... nemmeno i pesciaioli. A vendere tu saresti anche bravino. A
pulire i pesci quasi speciale. Eh sì, mani abili! Ma quando arrivano le massaie
e ti chiamano “Pelo” o “Pelù”: oh, a noi ci scappa da ridere. Si rompe la magia
di negozio! »
Markus sorrise, fece spalluccia come per dire “non ce n’ho uno meglio, di nomi” e si
rimise a pulire un muggine.
Era arrivato a Viareggio di mattina presto cinque
giorni prima e aveva urgente bisogno di un lavoro. Due mesi e mezzo in mare
l’avevano provato. Era stata la prima volta e aveva giurato che sarebbe stata
l’ultima. Unico vantaggio: aveva imparato la lingua. In realtà era vernacolo
livornese, quello della zona del porto, ma lui che veniva da Gent non poteva
saperlo.
Papazzino continuò.
« Eh si sente che tu se’ di Livorno, quartiere
Venezia. Vien via, come fai a chiamarti Pelonero? “Capello” se mai! Dove te lo
sei inventato? Dimmelo! Ti cercano i gendarmi. A noi tu lo puoi dire come tu ti
chiami davvero. Ci s’ha tutti dei sospesi, non si va di certo a raccontarlo agli sbirri! »
Papazzino era diventato troppo insistente: doveva
andarsene, non poteva farsi scoprire.
Markus Van Buylken ricordava bene. Appena disceso
dalla lancia col sacco in spalla e gli stivali in mano si era gettato a sedere
sulla sabbia. Sentiva i piedi asciugarsi al sole caldo della Versilia. La
disperazione che aveva nel cuore, pian piano, si mutava in melanconia. Prima di infilarsi gli stivali tolti per lo
sbarco guardò per l’ultima volta L’ombra
della Meloria. La nave stava alzando tutte le vele per ripartire verso
Livorno. Portava via un pezzo della sua vita, i marinai labronici di cui ormai
era amico e forse anche l’arte che amava e che non avrebbe mai più potuto
usare. Il capitano Schiatti gliel’aveva detto la sera prima.
« Pelonero ... »
L’aveva chiamato così per la chioma guascona e il
petto folto come moquette.
« ... tuo zio mi s’è raccomandato. Trovati un lavoro
il più lontano possibile dalle presse e dai caratteri di piombo. Non dire mai
che facevi il tipografo e soprattutto che pubblicavi libelli contro i francesi.
Il mondo è piccolo e “uno più uno”
tutti sono buoni a farlo! »
Era per quello che si era messo nei guai a Gent.
Qualche anno dopo la caduta di Napoleone, aveva pubblicato dei libelli del suo
amico Ghaspar contro la maggioranza francese che li stava vessando. L’avevano
preso mentre distribuiva il terzo fascicolo. Dato fuoco al pacco, se non fossero
intervenuti suo padre e suo fratello incappucciati, forse l’avrebbero impiccato, come Ghaspar. Meno male che al
buio erano riusciti a scappare. Suo
padre l’aveva portato a Antwerpen dallo zio Celsius, alla fabbrica di
termometri. Non ne c’altro da fare: doveva scappare in Italia. C’era giusto
ad Antwerpen la nave di Schiatti, amico
di Celsius, pronta a salpare.
« Non dire a nessuno come ti chiami, fatti chiamare
Pelonero; te l’ho messo io e ti sta bene. Nessuno ti chiederà niente. »
Dopo la fuga nascondere il suo nome gli sembrava il
minimo: c’erano spie dappertutto. Così era diventato Pelonero, il pesciaiolo.
Si sentiva sprecato, non poteva durare.
Qualche settimana dopo era diventato apprezzato
commesso in un negozio di verdure. Che soddisfazione sistemare rape, carciofi,
mele, aranci sul banco alternando colori e forme. Sopra ogni cosa gli piaceva
preparare i cartelli. La mattina andava presto al negozio, tirava fuori le
matite colorate e si metteva a scrivere e disegnare: “Fagioli
cotti al fiasco”. Sotto l’immagine di un fiasco che sbuffava vapore e
un’altra scritta più piccola: “Conditi di
crudo con l’olio extravergine di Calci”. Oppure: “Scalogne sotto aceto” con importante precisazione: “Pepe della Sicilia e aceto fatto col vino di Pitignano”. C’erano di
tutti i tipi: “Cipolle fresche delicate:
da fare a pinzimonio” e “Rape bollite”
con la precisazione: “Tenere e amarognole:
hanno preso il primo gelo.”
Più di tutte gli garbava quella col disegno del pesce:
“Baccalà ammollato per bene nell’acqua
della fonte di Stiava”. Frollino, il
padrone, aveva anche la licenza per il baccalà e pure per lo stoccafisso.
« Cartelli scritti così bene non l’avevo mai visti. Non
ci crederai Pelonero: mi fanno vendere di più! »
Passò una mano sulla pannuccia per pulirla; poi lisciandolo, sul cartello dei fagioli.
« Sembrano stampati; dei quadri d’artista. Dove hai
imparato? A guardarli da lontano paiono fatti in tipografia! »
Markus sorrise. Sorrise e basta. Tutto bene finché non
li notò l’Armida, la cuoca della signora Coletti. Il notaio Coletti aveva avuto
da poco la procura a Viareggio: si era trasferito lì da Livorno con la famiglia.
Frollino aveva parlato con l’Armida e non la smetteva
più, insisteva e ribatteva continuamente il chiodo.
« L’hai conosciuta anche te l’Armida? Sembra un
ispettore di polizia: indaga, domanda e spia. Quell’uggiosa chiedi di tutto e
di tutti: “di dove viene questa lattuga?”,
“quelle patate non saranno mica state
alla luce?”. Uno sbirro. Non si vergogna neanche a fare domande offensive:“I carciofi mica l’avrà ammollati per farli
pesare di più?”. Quando sono cominciati ad apparire i tuoi cartelli s’è
messa a leggere quelli, s’è contentata e
mi ha lasciato in pace. Un miracolo.
Riordinò una cassetta di cipolle.
« Lo sai che
ha fatto? E’ tornata a casa e l’ha raccontato alla sua padrona, la moglie del notaio. Il notaio è arrivato solo
da due o tre mesi ma lo conoscono tutti; soprattutto in darsena. S’è messo a
comprare tutti i quadri dei pittori. Una
fissa, ma anche una manna per quei disgraziati morti di fame. »
Si grattò la testa.
« Che ti dicevo? Ah,
quando la moglie del notaio ha saputo dei tuoi cartelli ha detto che
stamani sarebbe venuta a vederli. Tu stai qui e... fammi fare bella figura. »
Markus si sentì gelare. Ci mancava anche la cuoca
sbirro. Il suo babbo sapeva come girano le cose del mondo. Gliel’aveva detto diverse volte: “Se vuoi mantenere un segreto, guardati dai poliziotti, abbi paura delle serve, ma
soprattutto temi le cuoche!”
Un uomo del nord
Markus veniva dal nord, da lontano, da molto lontano.
Era fuggito e vedeva spie dappertutto. Ogni volta che gli facevano quella
domanda, e gli succedeva sempre più spesso, si sentiva in pericolo.
« Come fai a chiamarti Pelonero, e fare il pesciaiolo? »
Papazzino lo guardava di traverso con l’unico occhio.
« Non funziona. Non c’è nulla da fare: i pesci non
hanno peli e... nemmeno i pesciaioli. A vendere tu saresti anche bravino. A
pulire i pesci quasi speciale. Eh sì, mani abili! Ma quando arrivano le massaie
e ti chiamano “Pelo” o “Pelù”: oh, a noi ci scappa da ridere. Si rompe la magia
di negozio! »
Markus sorrise, fece spalluccia come per dire “non ce n’ho uno meglio, di nomi” e si
rimise a pulire un muggine.
Era arrivato a Viareggio di mattina presto cinque
giorni prima e aveva urgente bisogno di un lavoro. Due mesi e mezzo in mare
l’avevano provato. Era stata la prima volta e aveva giurato che sarebbe stata
l’ultima. Unico vantaggio: aveva imparato la lingua. In realtà era vernacolo
livornese, quello della zona del porto, ma lui che veniva da Gent non poteva
saperlo.
Papazzino continuò.
« Eh si sente che tu se’ di Livorno, quartiere
Venezia. Vien via, come fai a chiamarti Pelonero? “Capello” se mai! Dove te lo
sei inventato? Dimmelo! Ti cercano i gendarmi. A noi tu lo puoi dire come tu ti
chiami davvero. Ci s’ha tutti dei sospesi, non si va di certo a raccontarlo agli sbirri! »
Papazzino era diventato troppo insistente: doveva
andarsene, non poteva farsi scoprire.
Markus Van Buylken ricordava bene. Appena disceso
dalla lancia col sacco in spalla e gli stivali in mano si era gettato a sedere
sulla sabbia. Sentiva i piedi asciugarsi al sole caldo della Versilia. La
disperazione che aveva nel cuore, pian piano, si mutava in melanconia. Prima di infilarsi gli stivali tolti per lo
sbarco guardò per l’ultima volta L’ombra
della Meloria. La nave stava alzando tutte le vele per ripartire verso
Livorno. Portava via un pezzo della sua vita, i marinai labronici di cui ormai
era amico e forse anche l’arte che amava e che non avrebbe mai più potuto
usare. Il capitano Schiatti gliel’aveva detto la sera prima.
« Pelonero ... »
L’aveva chiamato così per la chioma guascona e il
petto folto come moquette.
« ... tuo zio mi s’è raccomandato. Trovati un lavoro
il più lontano possibile dalle presse e dai caratteri di piombo. Non dire mai
che facevi il tipografo e soprattutto che pubblicavi libelli contro i francesi.
Il mondo è piccolo e “uno più uno”
tutti sono buoni a farlo! »
Era per quello che si era messo nei guai a Gent.
Qualche anno dopo la caduta di Napoleone, aveva pubblicato dei libelli del suo
amico Ghaspar contro la maggioranza francese che li stava vessando. L’avevano
preso mentre distribuiva il terzo fascicolo. Dato fuoco al pacco, se non fossero
intervenuti suo padre e suo fratello incappucciati, forse l’avrebbero impiccato, come Ghaspar. Meno male che al
buio erano riusciti a scappare. Suo
padre l’aveva portato a Antwerpen dallo zio Celsius, alla fabbrica di
termometri. Non ne c’altro da fare: doveva scappare in Italia. C’era giusto
ad Antwerpen la nave di Schiatti, amico
di Celsius, pronta a salpare.
« Non dire a nessuno come ti chiami, fatti chiamare
Pelonero; te l’ho messo io e ti sta bene. Nessuno ti chiederà niente. »
Dopo la fuga nascondere il suo nome gli sembrava il
minimo: c’erano spie dappertutto. Così era diventato Pelonero, il pesciaiolo.
Si sentiva sprecato, non poteva durare.
Qualche settimana dopo era diventato apprezzato
commesso in un negozio di verdure. Che soddisfazione sistemare rape, carciofi,
mele, aranci sul banco alternando colori e forme. Sopra ogni cosa gli piaceva
preparare i cartelli. La mattina andava presto al negozio, tirava fuori le
matite colorate e si metteva a scrivere e disegnare: “Fagioli
cotti al fiasco”. Sotto l’immagine di un fiasco che sbuffava vapore e
un’altra scritta più piccola: “Conditi di
crudo con l’olio extravergine di Calci”. Oppure: “Scalogne sotto aceto” con importante precisazione: “Pepe della Sicilia e aceto fatto col vino di Pitignano”. C’erano di
tutti i tipi: “Cipolle fresche delicate:
da fare a pinzimonio” e “Rape bollite”
con la precisazione: “Tenere e amarognole:
hanno preso il primo gelo.”
Più di tutte gli garbava quella col disegno del pesce:
“Baccalà ammollato per bene nell’acqua
della fonte di Stiava”. Frollino, il
padrone, aveva anche la licenza per il baccalà e pure per lo stoccafisso.
« Cartelli scritti così bene non l’avevo mai visti. Non
ci crederai Pelonero: mi fanno vendere di più! »
Passò una mano sulla pannuccia per pulirla; poi lisciandolo, sul cartello dei fagioli.
« Sembrano stampati; dei quadri d’artista. Dove hai
imparato? A guardarli da lontano paiono fatti in tipografia! »
Markus sorrise. Sorrise e basta. Tutto bene finché non
li notò l’Armida, la cuoca della signora Coletti. Il notaio Coletti aveva avuto
da poco la procura a Viareggio: si era trasferito lì da Livorno con la famiglia.
Frollino aveva parlato con l’Armida e non la smetteva
più, insisteva e ribatteva continuamente il chiodo.
« L’hai conosciuta anche te l’Armida? Sembra un
ispettore di polizia: indaga, domanda e spia. Quell’uggiosa chiedi di tutto e
di tutti: “di dove viene questa lattuga?”,
“quelle patate non saranno mica state
alla luce?”. Uno sbirro. Non si vergogna neanche a fare domande offensive:“I carciofi mica l’avrà ammollati per farli
pesare di più?”. Quando sono cominciati ad apparire i tuoi cartelli s’è
messa a leggere quelli, s’è contentata e
mi ha lasciato in pace. Un miracolo.
Riordinò una cassetta di cipolle.
« Lo sai che
ha fatto? E’ tornata a casa e l’ha raccontato alla sua padrona, la moglie del notaio. Il notaio è arrivato solo
da due o tre mesi ma lo conoscono tutti; soprattutto in darsena. S’è messo a
comprare tutti i quadri dei pittori. Una
fissa, ma anche una manna per quei disgraziati morti di fame. »
Si grattò la testa.
« Che ti dicevo? Ah,
quando la moglie del notaio ha saputo dei tuoi cartelli ha detto che
stamani sarebbe venuta a vederli. Tu stai qui e... fammi fare bella figura. »
Markus si sentì gelare. Ci mancava anche la cuoca
sbirro. Il suo babbo sapeva come girano le cose del mondo. Gliel’aveva detto diverse volte: “Se vuoi mantenere un segreto, guardati dai poliziotti, abbi paura delle serve, ma
soprattutto temi le cuoche!”
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