Quando il cuoco
indaga
storie conviviali
per ragazzi d'ogni età
offerte da
Oscar Montani
(16)
Oscar Montani
(16)
Otto
(2)
(2)
Etichette in chiaro
(seconda parte)
La moglie del notaio si voltò verso Markus.
« Complimenti: Sono bellissimi, direi di finissima
estetica anseatica. »
Markus capì al volo che doveva far finta di non capire. La donna, vedendo la sua
espressione “intontolita”, spiegò meglio.
« Di gusto fiammingo! Sì, soprattutto il modo di
ornare i caratteri. Ne vorrei uno, me lo
regalerebbe? »
Frollino servizievole come sempre “Alle clienti, magari si ruba sul peso, ma si da sempre ragione!”,
fece cenno di sì.
« Mi piace quello della ribollita: “Ribollita col cavolo nero, ricetta dell’alto
Valdarno”. Quei fagioli che rotolano in pentola su una foglia di cavolo
nero: deliziosi”. Stasera lo faccio
inquadrare. »
Lo prese in mano e lo espose alla luce radiosa del
mattino.
« Eh sì. Sembra
proprio fatto da un tipografo fiammingo. Da un editore di Anversa! »
Markus sentiva che
la terra si stava per spalancare sotto i suoi piedi; si tastò il collo
per essere sicuro di non averci un cappio.
« Non hai capito cosa voglio dire? Eh certo, non hai
studiato: è già un prodigio che tu sappia scrivere... »
Lo sguardo della signora era materno.
« ...Sai scrivere o li ricopi, come fossero disegni,
da un libro? Comunque sia tu hai buon gusto. Di dove sei?
Frollino lo precedette.
« Signora mia, lo sente come parla: l’è di Livorno,
non c’è mica bisogno di domandare! »
« Un giovane livornese con un gusto così raffinato...
Strano, non s’era mai visto! »
Markus si sentiva morire. La moglie del notaio era
gentile, ma lui aspettava lo stesso, terrorizzato, la domanda che non avrebbe
mai voluto sentire. La fece l’Armida, la cuoca.
« Ti chiamano Pelonero, l’ho sentito ieri. Ma via! Sarà
di sicuro un soprannome. Oh, come ti chiami per davvero? »
Lo fissò per qualche secondo, poi, incalzando, affondò
una stoccata piena d’insinuazioni maligne.
« Sarebbe anche l’ora che tu me lo dicessi. Sono di
Livorno... non avrai mica paura che conosca qualche tuo parente? »
Markus Van Buylken, sentendosi alle strette, prese una
decisione, una di quelle da cui non si può tornare indietro.
« Mi chiamo Marco. »
L’Armida sfoggiò un sorriso sadico.
« Marco. Bellino... e poi? »
Qui veniva il difficile. Ci pensò un po’, gli vennero
in mente tre o quattro cognomi. Belli ma impegnativi. Alla fine scelse quello più semplice e meno
ingombrante, anche se improbabile. Quello che non avrebbe lasciato dubbi a
nessuno. Un cognome che non avrebbe mai permesso, né a lui, né ai suoi nipoti e nemmeno ai suoi discendenti,
di fare, mai e poi mai, l’editore.
« Del Bucchia. »
L’Armida sorrise, con l’aria furba di chi ha capito
ogni cosa.
« Ah, ora ho inteso! Lo dicevo io che il mondo è
piccino: il tu’ babbo, a Livorno, faceva il pesciaiolo e tu non ce lo volevi
dire! »
« Capito
bambine: le etichette possono anche far capire chi è davvero il produttore. Se
ci mette il cuore, se ci tiene a quello che fa. »
Mi avviai verso
la cucina.
« Voi aspettate
qui: vado a caricare la lavastoviglie.
Lucie mi
chiamò.
« Corto,
aspetta! »
Mi venne
vicino.
« Grazie. Qui
con Pino, fate cose buonissime ed io ho mangiato tanto, tanto, tanto! Vedrai che sarà
contento anche Berto. »
Samantha
accarezzava gatto Noir.
« Anche lui è
contento: senti come ronfa e tiene anche la coda ritta, a punto interrogativo. Grazie
anche da parte di Noir! »
FINE
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