mercoledì 18 novembre 2020

Sarò breve perchè si deve!

 

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Dalle epistole ai post

la sintesi coatta del populismo

storia di un ruolo fondamentale, ma bistrattato

Mi sono arrivate, dai miei lettori (follower è parola grossa!), lamentele perché i miei post su Facebook sono troppo sintetici (ermetici sarebbe la parola giusta!), altri si lamentano che sono "difficili"... cercherò qui di spiegare perché uso questa forma breve di comunicazione. una giusta punizione per chi si è lamentato della brevità!

 

Premessa

Diciamo la verità gli intellettuali sono sempre rimasti un po' antipatici. Usati, in passato dal potere, se non gli si rivoltavano contro, ma antipatici. Anzi alla fin fine considerati dei rompicoglioni!

Fino a un paio di decenni fa i loro scritti erano però abbastanza letti e rispettati.

Gli sms prima e Twitter  poi (solo 140 caratteri), praticati universalmente da menti populiste rovinarono il pensiero intellettuale che non poteva esprimersi su quella lunghezza.

"Mai discutere con un idiota, ti trascina al suo livello e ti batte con l'esperienza" sentenziava Oscar wilde che già allora non era visto bene! Istagram gli dette il colpo di grazia!

Tra gli anni cinquanta e ottanta, in Italia, gli intellettuali erano molto ascoltati,  a sinistra, ma osteggiati e vituperati a destra. Pier Paolo Pasolini rappresenta, con finale in tragedia, l'esempio più noto.

Dagli anni novanta erano diventati "fastidiosi". L’espressione maître à penser (talora tradotta in maestro di pensiero), per indicare una persona di grande prestigio che, con le sue idee e i suoi scritti, esercita forte influenza culturale in una società, in un gruppo, in un ambiente, fu persino usata in senso dispregiativo. Non era un fenomeno nuovo, cerchiamo di capire.


Illustrazione satirica ne Le Pélerin, una rivista della destra cattolica, contro gli intellettuali che hanno fatto "fiorire" la testa del rivoluzionario Dreyfus.

Come si capisce dalla vignetta, già in Francia alla fine del 1800 gli intellettuali, a causa della loro presa di posizione nell'affare Dreyfuss erano stati bersagliati da alcune fazioni di potere conservatore. 

Ma occorre andare più indietro nel tempo. Il termine intellettuale deriva dal tardo latino intellectualis, aggettivo che vuole indicare ciò che in filosofia riguarda l'intelletto nella sua attività teoretica e si caratterizza perciò come separato dalla sensibilità e dall'esperienza giudicata di grado conoscitivo inferiore.


Nella concezione aristotelica erano definite intellettuali quelle virtù come scienza, sapienza, intelligenza e arte che consentivano all'anima intellettiva di raggiungere la verità. Nel campo della metafisica il termine stava poi ad indicare l'astrattezza, in contrapposizione alla concretezza e alla materialità.

Origine del termine

Il termine “intellettuale” fino al settecento era stato sempre usato in senso aggettivale, non quale sostantivo, come oggi viene normalmente adoperato.

Furono gli illuministi francesi ad agevolare ilnuovo uso del termine, soprattutto Diderot, il quale, nella sua celebre Lettre sur la liberté de la presse, segna probabilmente il transito dal clericus tardo medievale all’intellettuale in senso moderno. Eppure ancora nel 1753 il suo co-editore D'Alambert, nell'affrontare il tema, preferisce intitolare il saggio Essai sur les gens de lettres con l'utilizzo del precedente termine: "letterati".

 

Concezione e funzione storica dell'intellettuale

Sembra che il termine intellighenzia fosse già usato in Russia nel XVIII secolo, originato dalla traduzione della parola francese "intelligence", ed era riferito agli intellettuali di origine nobile che occupavano incarichi pubblici. Nel corso del XIX secolo venne riferito indifferentemente a tutta la classe colta della popolazione, distinguendo tuttavia gli intellettuali non nobili o declassati con il termine di Raznočincy,   letteralmente gente comune.

 

Il termine Intelligencija appare nei diari datati 1836 del russo Vasilij Andreevič Žukovskij, ma fu reso popolare dal filosofo polacco Karol Libelt dopo la pubblicazione nel 1844 del suo libro L'amor di patria e soprattutto dallo scrittore e giornalista russo Pëtr Dmitrievič Boborykin, seconda metà '800, che l'utilizzò nella sua rivista  Biblioteca per la lettura, affermando di averlo tratto dal tedesco (non sapeva il francese!), e rese protagoniste dei suoi romanzi molte figure di intellettuali. Il lemma ebbe ampia diffusione con le opere del romanziere Ivan Turgenev.

Il termine, già in uso in Francia nel penultimo decennio dell'Ottocento, nell'ambito della critica letteraria, ebbe poi diffusione nel 1898 grazie al Manifeste des intellectuels, pubblicato dal quotidiano parigino L'Aurore da un giornalista divenuto poi primo ministro: Georges Clemenceau.

Clemenceau, intervenendo al fianco di Émile Zola nel suo atto d'accusa alla politica francese, introdusse il termine intellectuels per designare i sostenitori dell'innocenza di Alfred Dreyfus. Da quel momento il sintagma - utilizzato anche dalla controparte per indicare i "pedanti presuntuosi, che si ritengono l'aristocrazia dello spirito e che hanno perduto tutti, chi più chi meno, la mentalità nazionale" - connotò un acceso dibattito politico sulla funzione dei letterati nella società.

Successivamente l'uso della parola si è esteso in gran parte del mondo e in diverse lingue per indicare il gruppo che ha la superiorità intellettuale o, a volte ironicamente, che ritiene di averla.

 

La funzione sociale

Il problema storico della funzione sociale degli intellettuali era in effetti già presente in passato. Normalmente tenuti ai margini, sulla rive gauche dell'agone politico,  ogni tanto, in concomitanza di una crisi, si facevano loro appelli alla mobilitazione e all'impegno politico   ed addirittura si chiedeva la loro guida o la collaborazione ai processi di riforma e di rinnovamento politico. addirittura quando, con il progresso scientifico, si era posto il problema sulla funzione civile della ricerca scientifica; questo ruolo è evoluto in quello dei moderni creatori dell'opinione pubblica (opinion makers) e, ahimè, ora al governo chiamano i professori universitari dimenticando il detto popolare: "Chi non sa fare insegna!".

 

Il termine intellettuale in questo periodo di populismo galoppante comincia ad acquistare anche connotazioni negative riferito a colui che rifiuta i valori della fantasia e dei sentimenti o a chi si compiace di considerazioni artificiose e cerebrali che acquistano tanto più importanza quanto più lontane dalla realtà: è questo quello che viene, con spregio, definito intellettualismo. In parallelo si afferma anche che uno vale uno, mettendo alla pari uno scienziato con un bibitaro da stadio!

Per finire 

Concludendo: se non sei breve nessuno ti legge. Una foto anche se la guardi due secondo ti entra dentro, le parole vanno lette. Cerco allora di esser bre e nelle poche parole di metterci più contenuti possibile... lo so così capire non è facile, ma che ci volete fare non sono un intellettuale ma nemmeno un populista bibitaro! Mi vien tristezza a pensare che di questi tempi San Paolo le sue lettere le dovrebbe molto ridurre!

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