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ICONE DI DONNE E DONNE DI
EIKONEΣ
il labirinto della Medusa
Rieditato: è un un estratto da un commento
di Carmen Claps
Per le immagini ho preso a prestito alcune figure del mio amico
Vittorio Giardino
che, con la sua raffinta grafica, molto mi ha influenzato nella scelta dei personaggi femminili.
Per le immagini ho preso a prestito alcune figure del mio amico
Vittorio Giardino
che, con la sua raffinta grafica, molto mi ha influenzato nella scelta dei personaggi femminili.
Come tutti i lavori di Oscar Montani, anche EIKONEΣ è
ricco di figure femminili. La donna, nel nostro autore, è raffigurata in modo
sempre molto più complesso della figura maschile. Di più: spesso la donna è
protagonista della vicenda, è vittima, è motivo o colpevole del crimine, sia
nelle avventure di Corto ambientate in epoca a noi contemporanea, sia in quelle
di Bertuccio, il fabbro di Montevarchi, che attraversa il delicato ponte fra
1400 e 1500, con il suo inguaribile (e pericoloso, per i tempi che allora
correvano) vizio dell’indagine.
Vi dicevo
che anche in EIKONEΣ Corto è circondato da donne. Molte le conosciamo già. Per
esempio Cinzia, “il braccio gentile della legge”, il magistrato sua compagna
(fino a quando?) e poi soprattutto le ragazze del suo gruppo che, se nel
passato hanno avuto delle mire su di lui, come la Luisa, estetista con negozio
centro benessere in proprio.
Maniaca
della bicicletta, è stata sua fidanzata,
è ha costretto Corto a estenuanti pedalate. Ma c’è anche Teddi, che lo
assillato con una corte asfissiante; ora è entrata (nonostante venga dagli Usa)
nella sua “corte dei miracoli”: sì è infatti appropriata di tutto il peggio del
gergo della Darsena.
Sembra che
loro due non lo vedano più come un uomo da conquistare, ma soltanto come il
capo da sopportare in tutto e per tutto nelle indagini, senza discutere. (…) Brevissima
nota merita la Luisa, con la splendida descrizione all’inizio de “L’oro degli
aranci”, in cui la vediamo a metà tra un alieno e Superman, dipinta con toni
tra l’ironico e lo stupito. Le donne del gruppo di Corto, a differenza delle
altre figure femminili, non sono mai protagoniste di eventi drammatici, anzi,
servono ad alleggerire momenti di particolare tensione, a creare esilaranti
siparietti.
E qui, in
EIKONEΣ, di tensione ce n’è da vendere, in gran parte proprio grazie alle
donne. Nell’esaminarle andrei in escalation. Partiamo da un personaggio che
sembrerebbe secondario, ma, a una rilettura, ci rendiamo conto senza fatica di
tutta la sua importanza e di quanto Oscar l’abbia scavata dal punto di vista
psicologico. E’ Anhja, la guida di Corto a San Pietroburgo. Il nostro si reca
in questa città per conto del suo capo, il bieco Gentileschi, a verificare lo
stato di una nave, per decidere se sia o meno il caso di acquistarla. All’
uscita dell’aeroporto lo attende la guida con il solito, pittoresco, patetico
cartello: “Gentileschi crociere”. Oscar ce la descrive subito molto efficacemente:
“ … sulla quarantina. Alta e spigolosa, vestita di un tailleur di lana di
taglio militaresco … severa ed attenta studiava il suo cliente … rigida e
legnosa, nascondeva, contenendola a fatica, molta forza e un’inquietante
energia” (p. 27).
“Aveva ginocchia sgraziate e ossute, calcagni
parimenti nodosi” (p. 38). “Spalle larghe e robuste mani ossute” (p. 49).
Bisogna ammetterlo: come guida è abbastanza insolita: come hostess ci
aspetteremo una ragazza piuttosto avvenente e comunicativa. Anhja, che, in
pratica per tutto il romanzo viene chiamata con questo brevissimo nome e il cui
impossibile cognome viene svelato quasi in chiusura, non ha molto di attraente,
anzi, è decisamente scostante. Si avvolge in un’atmosfera se non misteriosa
almeno enigmatica nell’episodio nel quale la vediamo accompagnare Corto al
labirinto Puskin. Non dico una parola sul labirinto; mi soffermo invece, sul
fatto che davanti a quel labirinto, che pure è fatto di siepi di bosso, quindi,
in un certo senso è abbastanza rilassante, Anhja si irrigidisce, sembra colpita
da ricordi angoscianti, finché, facendosi quasi violenza, riesce a raccontare a
Corto un episodio accaduto proprio in quello stesso labirinto il gennaio
precedente, quando era completamente gelato, quindi ancor più inquietante e difficile
da venirne fuori. (…) Come in tutti i gialli
d’autore, anche in EIKONEΣ, nulla è come sembra, ogni cosa ne nasconde altre
centomila, ogni strada sbocca in un’infinità di strade e così è per Anhja e la
sua storia. Questa donna non esercita alcun fascino sul nostro protagonista,
solo interesse, curiosità e, alla fine, molto altro.
Quanto al
fascino non preoccupatevi, in EIKONEΣ, non mancano certo le sirene. D’
altronde, Corto lo ammette con candore e sincerità: “I miei soliti punti
deboli: le donne e gli amici” (p. 207). Cominciamo vilmente in ordine
alfabetico da Margarethe Mueller Stern, detta Grete, detta Heidi.
Ci risiamo
con la multiformità. Oscar è stato eccezionale in questo senso già ne “La Delta
velata” con Teddi che ci si presenta non so più sotto quante identità. Qui la
situazione è molto più palese, più semplice, ma, se vogliamo, nello stesso
tempo, molto più sottile. Intanto Grete, stabiliamo di chiamarla così è una dei
passeggeri che, sulla Delta, partecipano a quella crociera. La prima cosa che
vediamo di lei, come in una sapiente inquadratura cinematografica, sono “I suoi
grandi occhi verdi” (p.143), con cui scruta e cataloga Corto appena salita a
bordo. Appena salita a bordo, come il nostro puntualizza di voler essere
chiamato Corto, lei ribatte: “Mi chiami Grete o, se preferisce, Heidi” (p.143).
Ecco racchiusa nei nomi la duplicità del personaggio. Infatti Grete evoca
inevitabilmente Greta Garbo, la diva dal fascino irresistibile, un fascino
decisamente ambiguo (pensiamo alla storia mai accertata, ma mai smentita con
Marlene Dietrich), Heidi è esattamente l’opposto: evoca l’innocenza, la purezza
in assoluto. Grete è un’esperta d’arte, come del resto suo padre. Dimostra di
saper spiegare le antichità con passione, in modo vivace, non supponente,
chiaro, sintetico, interessante. Sembra partecipare alla crociera per puro
diletto, ma, vi ripeto, la vicenda è un giallo; (…)
Perché Grete dovrebbe fare eccezione? Gli entusiasmi, le tenerezze di
Heidi, le malizie, le trappole, i secondi fini di Grete.
Proseguendo,
non so se casualmente, ma sia in ordine alfabetico che non dico di importanza
ma di intensità, viene Nadja Sierpinski, la figlia di Natalia.
Nadja fin
dall’ inizio partecipa attivamente alla vicenda: la vediamo accanto a Corto nei
momenti più intensi: a San Pietroburgo e nelle grotte di Gortina. Si spinge
anche a fare delle avances al nostro, che sembrano alquanto gradite, avances
che hanno un esito tutto particolare. (…) Anche Nadja non è quello che sembra, proprio
nel senso letterale della parola. Mi limito a dirvi che nasconde
“inconfessabili moventi” e misteri, perciò i suoi slanci, i suoi entusiasmi
possono avere un secondo input e un secondo fine. A proposito di Nadja, la
ritroviamo un anno dopo nei racconti “I misteri della terza luna”, proprietaria
del negozio dove si trovano gli oggetti che danno il là alle vicende.
Chiusura col
botto con Natalia. Personaggio grandissimo, da tragedia greca dalla sua prima
apparizione fino all’uscita di scena, figura completa e complessa che Oscar ci
descrive a tutto tondo nel suo aspetto fisico e psicologico. Naturalmente la
vediamo attraverso gli occhi di Corto. Gustatevi, intanto la sua prima
apparizione. “Una signora altera, elegante, vestita completamente di nero e con
grandi occhiali scuri. Solo una sciarpa di seta rossa ravvivava la sua figura.
Un cappello a falde larghe le copriva i capelli. Dal riflesso del sole su
qualche ciocca calata sulla nuca li intuii più volte ritoccati sul biondo
chiaro.” (p. 39). Significativo il fatto che Corto, con una punta di malignità,
trascuri volutamente quell’apparizione regale, faccia finta di non vederla,
quasi non ci fosse. Quanto alla descrizione fisica, è molto accurata, sia per
quanto riguarda lo splendore della sua giovinezza sia per quanto riguarda il
fascino attuale accresciuto dalla maturità. “Da giovane doveva essere stata
folgorante, di quelle che ti tolgono il respiro la prima volta che le vedi e la
seconda non le vedi nemmeno; ormai le stai sognando. Fisico atletico e
imponente, colori caldi e pelle d’albicocca. (... )” (p.41). A un fisico del genere Natalia aggiunge un carattere
volitivo, dominatore, in modo che si pone sempre un po’ più in altro rispetto
agli altri. La sua volontà innanzitutto, nelle cose fondamentali come in quelle
di poco conto. Per esempio, significativo il fatto che abbia obbligato il
marito a prendere il cognome Sierpinski e addirittura a cambiare il nome, da
Fedor a Nestor, perché, in casa sua, tutti i nomi devono iniziare con la
lettera N. Questa usanza dipende dal fatto che, dice lei, un suo trisavolo, un
certo tenente Nestor Sierpinski, avrebbe sconfitto addirittura Napoleone in una
battaglia minore, ma nessuno ha mai confermato questa notizia. “Se ha deciso
che una cosa non è più interessante per lei, lo deve essere per tutti. Ha cento
occhi e mille orecchie” (p. 219). Oscar non si accontenta di queste pur
efficacissime descrizioni: per Natalia crea tre tipi di metafore quanto mai
calzanti. La prima, la più ovvia, è quella della divinità, per sottolineare la
distanza tra lei ei comuni mortali. Poi c’è la sua assimilazione alla statua,
che vuole indicare la sua freddezza, la sua apparente immunità da ogni
sentimento, da ogni emozione umana. Ma la più originale (e del resto quella che
troviamo più di frequente) è quella della polena. Nasce dal fatto che Natalia
viene descritta spesso a prua, a godersi il vento: sincero piacere o posa
teatrale, epica, come la definisce l’autore? Per tutto il corso della vicenda
Natalia ci tiene a distanza, ci è cordialmente antipatica, con quell’aria di
superiorità, con quel tono che ci vuole ricordare sempre che lei appartiene ad
un altro mondo. Pensate che si permette di tener testa a Corto, per lo meno ci
prova, ma potete ben immaginare con quali risultati. Comunque, c’è un segnale
che potrebbe passare inosservato e che, invece, è fondamentale. Ci viene da
Corto che racconta a Fathim e commenta: “Mi è sembrata una donna profondamente
triste” (p. 186). (... ) la conclusione della vicenda la umanizza: la statua scende dal
piedistallo, la dea abbandona l’Olimpo, la polena ripiega le ali. Ciò
nonostante, la sua uscita di scena è ugualmente regale, degna di una vera e
propria prima donna. Ci era apparsa in un pomeriggio assolato, ci lascia in una
notte buia, quasi non avesse più una luce di speranza davanti a sé.
(Carmen
Claps)
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