sabato 5 dicembre 2020

La figura femminile in EIKONES

 

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ICONE DI DONNE E DONNE DI  
EIKONEΣ
il labirinto della Medusa
Rieditato: è un un estratto da un commento
di Carmen Claps

Per le immagini ho preso a prestito alcune  figure del mio amico
Vittorio Giardino
che, con la sua raffinta grafica, molto mi ha influenzato nella scelta dei personaggi femminili.


Come tutti i lavori di Oscar Montani, anche EIKONEΣ è ricco di figure femminili. La donna, nel nostro autore, è raffigurata in modo sempre molto più complesso della figura maschile. Di più: spesso la donna è protagonista della vicenda, è vittima, è motivo o colpevole del crimine, sia nelle avventure di Corto ambientate in epoca a noi contemporanea, sia in quelle di Bertuccio, il fabbro di Montevarchi, che attraversa il delicato ponte fra 1400 e 1500, con il suo inguaribile (e pericoloso, per i tempi che allora correvano) vizio dell’indagine.
Vi dicevo che anche in EIKONEΣ Corto è circondato da donne. Molte le conosciamo già. Per esempio Cinzia, “il braccio gentile della legge”, il magistrato sua compagna (fino a quando?) e poi soprattutto le ragazze del suo gruppo che, se nel passato hanno avuto delle mire su di lui, come la Luisa, estetista con negozio centro benessere in proprio.
Maniaca della bicicletta,  è stata sua fidanzata, è ha costretto Corto a estenuanti pedalate. Ma c’è anche Teddi, che lo assillato con una corte asfissiante; ora è entrata (nonostante venga dagli Usa) nella sua “corte dei miracoli”: sì è infatti appropriata di tutto il peggio del gergo della Darsena.

Sembra che loro due non lo vedano più come un uomo da conquistare, ma soltanto come il capo da sopportare in tutto e per tutto nelle indagini, senza discutere.   (…) Brevissima nota merita la Luisa, con la splendida descrizione all’inizio de “L’oro degli aranci”, in cui la vediamo a metà tra un alieno e Superman, dipinta con toni tra l’ironico e lo stupito. Le donne del gruppo di Corto, a differenza delle altre figure femminili, non sono mai protagoniste di eventi drammatici, anzi, servono ad alleggerire momenti di particolare tensione, a creare esilaranti siparietti.

E qui, in EIKONEΣ, di tensione ce n’è da vendere, in gran parte proprio grazie alle donne. Nell’esaminarle andrei in escalation. Partiamo da un personaggio che sembrerebbe secondario, ma, a una rilettura, ci rendiamo conto senza fatica di tutta la sua importanza e di quanto Oscar l’abbia scavata dal punto di vista psicologico. E’ Anhja, la guida di Corto a San Pietroburgo. Il nostro si reca in questa città per conto del suo capo, il bieco Gentileschi, a verificare lo stato di una nave, per decidere se sia o meno il caso di acquistarla. All’ uscita dell’aeroporto lo attende la guida con il solito, pittoresco, patetico cartello: “Gentileschi crociere”. Oscar ce la descrive subito molto efficacemente: “ … sulla quarantina. Alta e spigolosa, vestita di un tailleur di lana di taglio militaresco … severa ed attenta studiava il suo cliente … rigida e legnosa, nascondeva, contenendola a fatica, molta forza e un’inquietante energia” (p. 27).

 “Aveva ginocchia sgraziate e ossute, calcagni parimenti nodosi” (p. 38). “Spalle larghe e robuste mani ossute” (p. 49). Bisogna ammetterlo: come guida è abbastanza insolita: come hostess ci aspetteremo una ragazza piuttosto avvenente e comunicativa. Anhja, che, in pratica per tutto il romanzo viene chiamata con questo brevissimo nome e il cui impossibile cognome viene svelato quasi in chiusura, non ha molto di attraente, anzi, è decisamente scostante. Si avvolge in un’atmosfera se non misteriosa almeno enigmatica nell’episodio nel quale la vediamo accompagnare Corto al labirinto Puskin. Non dico una parola sul labirinto; mi soffermo invece, sul fatto che davanti a quel labirinto, che pure è fatto di siepi di bosso, quindi, in un certo senso è abbastanza rilassante, Anhja si irrigidisce, sembra colpita da ricordi angoscianti, finché, facendosi quasi violenza, riesce a raccontare a Corto un episodio accaduto proprio in quello stesso labirinto il gennaio precedente, quando era completamente gelato, quindi ancor più inquietante e difficile da venirne fuori. (…) Come in tutti i gialli d’autore, anche in EIKONEΣ, nulla è come sembra, ogni cosa ne nasconde altre centomila, ogni strada sbocca in un’infinità di strade e così è per Anhja e la sua storia. Questa donna non esercita alcun fascino sul nostro protagonista, solo interesse, curiosità e, alla fine, molto altro.

Quanto al fascino non preoccupatevi, in EIKONEΣ, non mancano certo le sirene. D’ altronde, Corto lo ammette con candore e sincerità: “I miei soliti punti deboli: le donne e gli amici” (p. 207). Cominciamo vilmente in ordine alfabetico da Margarethe Mueller Stern, detta Grete, detta Heidi.

Ci risiamo con la multiformità. Oscar è stato eccezionale in questo senso già ne “La Delta velata” con Teddi che ci si presenta non so più sotto quante identità. Qui la situazione è molto più palese, più semplice, ma, se vogliamo, nello stesso tempo, molto più sottile. Intanto Grete, stabiliamo di chiamarla così è una dei passeggeri che, sulla Delta, partecipano a quella crociera. La prima cosa che vediamo di lei, come in una sapiente inquadratura cinematografica, sono “I suoi grandi occhi verdi” (p.143), con cui scruta e cataloga Corto appena salita a bordo. Appena salita a bordo, come il nostro puntualizza di voler essere chiamato Corto, lei ribatte: “Mi chiami Grete o, se preferisce, Heidi” (p.143). Ecco racchiusa nei nomi la duplicità del personaggio. Infatti Grete evoca inevitabilmente Greta Garbo, la diva dal fascino irresistibile, un fascino decisamente ambiguo (pensiamo alla storia mai accertata, ma mai smentita con Marlene Dietrich), Heidi è esattamente l’opposto: evoca l’innocenza, la purezza in assoluto. Grete è un’esperta d’arte, come del resto suo padre. Dimostra di saper spiegare le antichità con passione, in modo vivace, non supponente, chiaro, sintetico, interessante. Sembra partecipare alla crociera per puro diletto, ma, vi ripeto, la vicenda è un giallo; (…) Perché Grete dovrebbe fare eccezione? Gli entusiasmi, le tenerezze di Heidi, le malizie, le trappole, i secondi fini di Grete.

Proseguendo, non so se casualmente, ma sia in ordine alfabetico che non dico di importanza ma di intensità, viene Nadja Sierpinski, la figlia di Natalia.

Nadja fin dall’ inizio partecipa attivamente alla vicenda: la vediamo accanto a Corto nei momenti più intensi: a San Pietroburgo e nelle grotte di Gortina. Si spinge anche a fare delle avances al nostro, che sembrano alquanto gradite, avances che hanno un esito tutto particolare.   (…) Anche Nadja non è quello che sembra, proprio nel senso letterale della parola. Mi limito a dirvi che nasconde “inconfessabili moventi” e misteri, perciò i suoi slanci, i suoi entusiasmi possono avere un secondo input e un secondo fine. A proposito di Nadja, la ritroviamo un anno dopo nei racconti “I misteri della terza luna”, proprietaria del negozio dove si trovano gli oggetti che danno il là alle vicende.

Chiusura col botto con Natalia. Personaggio grandissimo, da tragedia greca dalla sua prima apparizione fino all’uscita di scena, figura completa e complessa che Oscar ci descrive a tutto tondo nel suo aspetto fisico e psicologico. Naturalmente la vediamo attraverso gli occhi di Corto. Gustatevi, intanto la sua prima apparizione. “Una signora altera, elegante, vestita completamente di nero e con grandi occhiali scuri. Solo una sciarpa di seta rossa ravvivava la sua figura. Un cappello a falde larghe le copriva i capelli. Dal riflesso del sole su qualche ciocca calata sulla nuca li intuii più volte ritoccati sul biondo chiaro.” (p. 39). Significativo il fatto che Corto, con una punta di malignità, trascuri volutamente quell’apparizione regale, faccia finta di non vederla, quasi non ci fosse. Quanto alla descrizione fisica, è molto accurata, sia per quanto riguarda lo splendore della sua giovinezza sia per quanto riguarda il fascino attuale accresciuto dalla maturità. “Da giovane doveva essere stata folgorante, di quelle che ti tolgono il respiro la prima volta che le vedi e la seconda non le vedi nemmeno; ormai le stai sognando. Fisico atletico e imponente, colori caldi e pelle d’albicocca. (... )” (p.41). A un fisico del genere Natalia aggiunge un carattere volitivo, dominatore, in modo che si pone sempre un po’ più in altro rispetto agli altri. La sua volontà innanzitutto, nelle cose fondamentali come in quelle di poco conto. Per esempio, significativo il fatto che abbia obbligato il marito a prendere il cognome Sierpinski e addirittura a cambiare il nome, da Fedor a Nestor, perché, in casa sua, tutti i nomi devono iniziare con la lettera N. Questa usanza dipende dal fatto che, dice lei, un suo trisavolo, un certo tenente Nestor Sierpinski, avrebbe sconfitto addirittura Napoleone in una battaglia minore, ma nessuno ha mai confermato questa notizia. “Se ha deciso che una cosa non è più interessante per lei, lo deve essere per tutti. Ha cento occhi e mille orecchie” (p. 219). Oscar non si accontenta di queste pur efficacissime descrizioni: per Natalia crea tre tipi di metafore quanto mai calzanti. La prima, la più ovvia, è quella della divinità, per sottolineare la distanza tra lei ei comuni mortali. Poi c’è la sua assimilazione alla statua, che vuole indicare la sua freddezza, la sua apparente immunità da ogni sentimento, da ogni emozione umana. Ma la più originale (e del resto quella che troviamo più di frequente) è quella della polena. Nasce dal fatto che Natalia viene descritta spesso a prua, a godersi il vento: sincero piacere o posa teatrale, epica, come la definisce l’autore? Per tutto il corso della vicenda Natalia ci tiene a distanza, ci è cordialmente antipatica, con quell’aria di superiorità, con quel tono che ci vuole ricordare sempre che lei appartiene ad un altro mondo. Pensate che si permette di tener testa a Corto, per lo meno ci prova, ma potete ben immaginare con quali risultati. Comunque, c’è un segnale che potrebbe passare inosservato e che, invece, è fondamentale. Ci viene da Corto che racconta a Fathim e commenta: “Mi è sembrata una donna profondamente triste” (p. 186).  (... ) la conclusione della vicenda la umanizza: la statua scende dal piedistallo, la dea abbandona l’Olimpo, la polena ripiega le ali. Ciò nonostante, la sua uscita di scena è ugualmente regale, degna di una vera e propria prima donna. Ci era apparsa in un pomeriggio assolato, ci lascia in una notte buia, quasi non avesse più una luce di speranza davanti a sé.

(Carmen Claps)
 
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