mercoledì 11 gennaio 2023

Speciale 128-2



  Recensioni di film di genere
  

Speciale: George Smiley

al cinema e in TV


Un uomo nell’ombra

II

Dopo l'insoddisfazione per il film Lo specchio delle spie seguono anni inconcludenti. Le Carré prima lavora con Sydney Pollack per l’adattamento di Una piccola città in Germania. Ma il progetto salta. Poi è la volta di Karel Reisz con cui lavora duramente per sei mesi cercando di adattare Un ingenuo e sentimentale amante. Altro progetto caduto.


Le Carrè, dpopo questi due fallimenti, ritiene più produttivo dedicarsi alla scrittura di romanzi, con un personaggio diverso, ma ha fatto i conti senza l’oste! Smiley è pronto a tornare in grande spolvero, questa volta in tv, con la serie televisiva tratta da La talpa (1979), regia di John Irvin, seguita da Tutti gli uomini di Smiley (1982) regia di Simon Langton, entrambe interpretate dall’eccellente Sir Alec Guinness (Lo Smiley più convincente) nei panni del protagonista, fortemente voluto dallo scrittore che, stabilito un sodalizio, ne diventa anche amico. 

Ci sarà anche un film, sempre per la TV, A murder of Quality, diretto da Gavin Millar nel 1991 con Denholm Elliott come Smiley. Caduto (com'era possibile diversamente dopo Sir Alec? ) subito nell'oblio.

Ricordo anche, per dovere di cronaca, La tamburina, diretto da George Roy Hill (1984) con Diane Keaton come protagonista. Il film, non troppo riuscito, è ricordato più che altro per il cameo dello stesso Le Carré nella parte del comandante.

 E dopo la miniserie tv La spia perfetta (1987) passata con poco spolvero, ecco affacciarsi per la prima volta la nemesi. Fred Schepisi nel 1980 dirige La casa Russia che ha per protagonista nientemeno che Sean Connery. Sì, proprio l’ex James Bond ora appare in un film tratto da un  libro di le Carrè. Seconda nemesi con Il sarto di Panama (2001) di John Boorman, il protagonista è un altro Bond, Pierce Brosnan, all’epoca ancora titolare della licenza di uccidere. Del resto, il nome completo di John Le Carré era David John Moore Cornwell, di nuovo con quel Moore a rievocare quell’accidente di Bond.

Avvincente e schierato con i tempi mutati è The Constant Gardener – La cospirazione, regia di Fernando Meirelles (2005) con Ralph Fiennes e Rachel Weisz (che si aggiudica un Oscar), in cui la Pfizer è accusata di sperimentare illegalmente medicinali sulla popolazione africana.


Ma torniamo a Smiley. Recentemente è toccato a Gary Oldman rinverdire i fasti di Smiley nel remake de La talpa, mentre La spia – A Most Wanted Man diretto da Anton Corbijn è stato l'ultimo film di Philip Seymour Hoffman.

Tra gli adattamenti più recenti, Il traditore tipo di Susanna White con Ewan McGregor e la ripresa come serie tv di La tamburina per la regia di Park Chan-wook.

 

FINE

(Ritorna alla parte I)

martedì 10 gennaio 2023

Speciale 128-1



  Recensioni di film di genere  

Speciale: George Smiley

al cinema e in TV


Un uomo nell’ombra

I

John le Carré non amava (Ebbe a confessarlo: li detestava!) i romanzi di Ian Fleming. Forse invidiava un po’ Fleming che nel 1943 aveva fatto davvero la spia prestando servizio nel gruppo della famosa operazione segreta Mincemeat (depistaggio dei tedeschi per preparare lo sbarco in Sicilia).

Fleming da parte sua non doveva amare quel suo ruolo da oscuro spione, chiuso in uno scantinato, alle prese con telescriventi, dispacci e scartoffie (perquanto importanti!), tant’è che a partire dal 1953 propose, come sua catarsi, James Bond,  agente segreto dandy, affascinante ed elegante sciupafemmine costantemente sopra le righe, destinato al successo in libreria, ma a grandissimo successo sul grande schermo (Anche, ahimè; duraturo: "arridatece  Connery!"). James Bond è un'iperbole, un'utopia spionistica. Un modo di fare la spia che non è mai esistito e mai esisterà, del resto non è mai esistita neppure la Spectre!

Per questa sua avversione al lusso e alla brillantezza di Bond, già dal 1961, con il suo primo romanzo Chiamata per il morto, Le Carrè punta su George Smiley, una spia agli antipodi del mitico 007. Smiley appare come un protagonista più realistico e molto più vicino alla realpolitik della Guerra Fredda. Mentre James Bond si comporta da atletico, eclettico ed eroico ammazzasette (007!), George Smiley è al contrario un sedentario, che lavora prevalentemente in ufficio, ha una vita piuttosto squallida, grigia, senza momenti di entusiasmo, ma mai è pavido. Poverino: come ulteriore problema è sposato a una donna ninfomane che lo tradisce (e lo ferisce) più profondamente di qualsiasi spia della Spectre e che poi, addirittura lo scarica.

Sarà perché lui è un ometto di mezza età (prossimo alla pensione), tarchiato e bassotto, un po’ calvo, senza alcun fascino apparente, solo dotato di grande acume, qualità che lo aiuta non poco per architettare e risolvere gli intrighi più complicati. Sia Bond che Smiley arrivano al grande successo a meno di un anno di distanza. Si formano, tra gli spettatori (non tra i lettori: da un punto di vista letterario Le Carré è più di una spanna sopra a Fleming) due correnti di pensiero: i fan di Bond e i realisti che si identificano in Smiley.


Seppure in ambiti diversi, James furoreggia al cinema con Agente 007 Licenza di uccidere, poi seguito da Dalla Russia con amore. George è il protagonista (anche se un po’ dietro le quinte) di un romanzo epocale e del successivo film di grande successo: La spia che venne dal freddo.

Sì anche Smiley approda rapidamente al grande schermo. Nel 1964, infatti, Martin Ritt dirige magistralmente La spia che venne dal freddo, con Richard Burton protagonista, candidato all’Oscar come miglior attore, seppure non nei panni dello stesso Smiley, il cui ruolo secondario nel film è interpretato da Rupert Davies. Burton è  un agente segreto britannico, un po’ allo sbando, chiamato al doppio gioco nei confronti degli agenti del blocco sovietico. Gioco che conduce al meglio.

Durante la produzione Le Carré venne chiamato per riscrivere qualche dialogo, lo fa (è ben pagato), ma non è contento di quell’esperienza;   alla fine (pecunia non olet!) apprezza pubblicamente il risultato.

E allora ecco quasi subito dopo, 1966, Chiamata per il morto diretto da Sidney Lumet, questa volta il protagonista è James Mason che dovrebbe interpretare Smiley, ma la Paramount (produttrice del film con Burton) detiene i diritti del personaggio (nome compreso!) per evitare grane legali e ritardi alla produzione (ancor più deleteri!), il personaggio viene, ahimé, rinominato Charles Dobbs. Per il resto, la trama segue abbastanza fedelmente quella del romanzo da cui è tratto.


A seguire il meno riuscito Lo specchio delle spie con regia di Frank Pierson e Smiley sembra allontanarsi dagli schermi: Hopkins crede poco alle spie! Una delusione per Le Carré.  Per un decennio il rapporto dell’autore con il cinema sembra molto raffreddato…

(I - segue)

lunedì 9 gennaio 2023

Lanterna Gialla 128



  Recensioni di film di genere  


Film n.127

 

Chiamata per il morto   (The Deadly Affair) - 1967  James Mason, Maximilian Schell e Harriet Andersson

 

 


 Quando la moglie non è una "bond girl"!!

 

Se non fosse una spystory sarebbe un noir. Sì, perché il protagonista è George Smiley mica James Bond! Una persona normale, con una vita grigia, con molti problemi e una sola donna dalla testa bacata e dal comportamento riprovevole… Bond, invece,  non ha problemi (è impermeabile ai problemi!) e donne a bizzeffe!

        Un po' di trama

Londra, anni sessanta: Charles Dobbs (nome falso datogli dalla produzione, in realtà nel romanzo è George Smiley, ben più famoso per tutti i lettori e gli spettatori!) è un funzionario, colto ed intelligente, del controspionaggio britannico. In piena guerra fredda viene incaricato d'indagare sul presunto passato filocomunista di Fennan, un alto funzionario del Foreign Office, a seguito di una lettera anonima ben articolata e attendibile, che in seguito si scoprirà scritta dallo stesso Fennan, venuto a conoscenza che sua moglie era una spia comunista.

 

 


L'apparente suicidio di Fennan induce Dobbs a iniziare una sofferta indagine, che lo porterà a scoprire l'attività spionistica impiantata a Londra dalla moglie di Fennan e da Dieter Frey, un ex collaboratore di Dobbs, nonché suo amico al tempo della guerra.

Nell'intreccio ha un ruolo importante la relazione difficile di Charles con la moglie Ann, fedifraga perché affetta da ossessiva ninfomania. Ann sarà avvicinata proprio da Dieter per controllare l'indagine che sta svolgendo Charles.

Nel finale, come dicevo, stile noir:  Dieter strangola Elsa e spara all’ispettore Mendel, ma viene poi ucciso a mani nude dall'infuriato Dobbs.

 


Tranne alcune differenze su aspetti minori, è tratto fedelmente dal libro omonimo di John le Carré del 1961. Nel libro il protagonista si chiama George Smiley, personaggio fisso di Le Carré anche in romanzi successivi e per questo diventato famoso.  Nel film venne rinominato Charles Dobbs per evitare problemi legali con un’altra casa produttrice. Mentre nel romanzo di Le Carré sono descritti anche gli ambienti e le passioni del tempo, nel film resta in evidenza solo la trama gialla o spionistica, che come ho detto assume stilemi (Luci basse e personaggi tormentati) del noir.

Recitazione perfetta da parte di James Mason, ma del resto nei panni della spia ci si trovava benissimo anche in “Operazione Cicero”! Secondo il mio parere il migliore dei film tratti dai romanzi che hanno per protagonista George Smiley.

 

Voto: ****/5