lunedì 6 marzo 2023

Nuovo Dizionoirio (VIII)


Dall'A alla Z

miscellanea estemporanea e semiseria sul genere giallo/noir

ovvero il mio Dizionoirio


Parte VIII

C

 

Catarella (Agatino)


L’agente Agatino Catarella merita una menzione di rispetto. Il lettore, o lo spettatore TV, non ne può non rimanere colpito. In ogni romanzo di Camilleri e in ciascun episodio della serie tv dedicata al Commissario di Vigàta si viene affascinari (ci vince la curiosità) e travolti dalla verve verbale   di Agatino Catarella, “il principe indiscusso dello scangio verbale”. Nasce da Totò, ma a volte è al limite della comprensibilità.  

Degli ingredienti squisitamente comici che lo scrittore siciliano distribuisce con sapienza nei suoi scritti, il parlato del centralinista è senz’altro uno degli addendi più saporiti. La lingua di Catarella è uno splendido e raffinato pastiche, che spazia tra italiano popolare, italiano burocratico, italiano formale e dialetto, generando copia di malapropismi, paretimologie, storpiature, deformazioni, misunderstanding, tante volte irresistibili.

Ma non c’è solo la lingua: Catarella è ingenuo e anche un po’ tonto, ma è grande esperto di computer… questo la dice lunga su cosa pensasse Camilleri della tecnologia avanzante!

 

Chandler Raymond

A questa voce si dovrebbero dedicare 777 pagine, ma io non ho spazio neppure per 7! 


 

Chandler, che all'inizio scriveva sulle riviste "Dime" solo per mettere d'accordo il pranzo con la cena, ha sempre considerato il romanzo poliziesco come un genere volgare a cui era costretto per necessità alimentari: "E' solo destinato a un pubblico di semiletterati!". Affermò più volte: falsa modestia? Secondo OdB (Oreste del Buono) sì!

 


In effetti le Dime (riviste economiche usa e getta) erano lette dai pendolari in treno o in Metro. Eppure fu proprio grazie al poliziesco che ebbe grande fama. Ma Raymond era un tipo pieno di contraddizioni, era la contraddizione fatta persona ed era pure rancoroso, anche con se stesso!

Detestava l'ambiente del cinema, ma passò gran parte della sua vita a scrivere sceneggiature (facendo, abbracciato a una bottiglia di burbon, incavolare addirittura Billy Wilder e Alfred Hitchcock!). Era famoso per l'uso dello slang, ma confessava candidamente che "Per me la parlata americana è come una lingua straniera!".

 


Col romanzo The Big Sleep entra nell'olimpo degli autori più apprezzati.

 


Grazie a Hunphrey Bogart, Philip Marlowe, il suo personaggio  brand, diventa il modello di tanti investigatori privati immaginari e anche reali! Eppure detestava scrivere romanzi. Troppo lunghi e impegnativi, troppo lavoro! Ne risultano romanzi Patchwork (come la coperta della nonna). Cos'ha combinato? Semplice ha ripreso i vecchi racconti pubblicati su The Black Mask o altre Dime e li ha cuciti insieme, aggiustando e limando qua e là. Rinfrescando anche molte battute.

Risultato: spesso le cose non tornano o si reggono con traballanti puntelli (John Huston nel girare il Grande Sonno ci si dannò e gli attori confessarono di aver recitato senza capire cosa!), ma il linguaggio è così diretto, sciolto, brioso e ficcante che ci si passa sopra.

Arrivò in Italia nell'immediato dopoguerra. Non impressionò, anzi non fu considerato. Solo quando il grande, immenso Oreste del Buono ne fece una nuova traduzione, allora tutti se ne accorsero: Il Grande sonno ci aveva svegliati!

 

Charlie Chan

 


Charlie Chan è il poliziotto cinese gentile delle Hawaii. Non "c'era un cinese in Cina"! Era ad Honolulu ed era gentile e cortese!

Nel 1925, alla vigilia del sonoro, era arrivata ad Hollywood una cartolina dalle Hawaii. Una proposta "alternativa", ma interessante. Confortevole e rilassante, anche, almeno a giudicare dall'immagine!

 

 

I produttori e i registi la guardarono con sorpresa: gli ci vollero   dodici mesi perché la prendessero in considerazione. In effetti il personaggio, ricco di detti proverbiali e saggi aforismi aveva bisogno di parlare...  E ci volle anche una spintarella. Un anno dopo la sua apparizione, nel 1926, il romanzo The chinese parrott (Il pappagallo cinese) consacra la fama di Charlie Chan.  

 


Finalmente a Hollywood, considerate le vendite del romanzo e fatti due conti, si decidono. Acquistano i diritti del primo romanzo di Biggers. E’ l’inizio di un successo planetario nelle sale, Anche Boris Karloff reciterà in un film! Purtroppo segna anche la diminuzione dell’interesse dei critici per i romanzi di Biggers che avrebbe, invece, meritato di più da un punto di vista di stima per le sue capacità di narratore.

Viene prodotto il film La Casa senza chiavi, interprete George Kuwa, che vedete qui sopra. George Kuwa (1885 - 1931) era un attore  giapponese e americano "Issei" (immigrato giapponese, come il maestro di Karate Kid) del periodo del cinema muto. È apparso in 58 film tra il 1916 e il 1931. La sua gloria: essere stato il primo attore a interpretare Charlie Chan.

 


Qui vediamo Kuwa (controllato dal regista) truccato da Chan, la somiglianza con l’attore più importante (Warner Oland), venuto dopo, ci fa capire che Charlie Chan è in realtà una maschera universale del teatro!

 


Infatti anche il teatro, subito dopo il cinema, si interessa del personaggio, con sceneggiature e adattamenti a volte un po' troppo liberi!

Ciò spinse Biggers, che sembra fosse un gran pignolo, a stare sul set cinematografico per controllare!

 



Non è ancora un successo planetario, ma sono segnali, non deboli (si parla di incassi non previsti!), del futuro enorme interesse popolare. Esploderà quando lo svedese Warner Oland vestirà i panni bianchi del detective giallo e andrà fino a Berlino, alle Olimpiadi! In breve diventerà importante come Poirot e miss Marple, suoi coevi, ma molto più popolare.

Nel 1928 (due anni dopo l'uscita del romanzo) viene girato Charlie Chan and the chinese parrott. Siamo ancora a produzioni popolari, post muto: ma il pappagallo lo ignora e qui parla!


 

 

Biggers, che vediamo sul set col suo "personaggio" e col pappagallo, come si è detto prima, se ne occupa personalmente.

Chan sarà anche un punto di riferimento, una pietra miliare, secondo molti critici americani divide la storia del genere giallo in  "prima di Chan" e in "dopo Chan". I francesi affermano che la svolta è invece del '29 e la pietra miliare si chiama Maigret (prima di Maigret e dopo Maigret!). Gli inglesi storcono il naso: lo considerano solo un illegittimo di Sherlock: per loro dopo Holmes non c'è stato più niente!


Chiave

 

La chiave di vetro (The Glass Key ) è un film di Stuart Heisler, con Alan Ladd, Veronica Lake, Brian Donlevy .

 

 

Un noir atipico, alla fine, anche se poco cambia nella società, resta accesa una fiammella di speranza.

La trama. Ed Beaumont (Ladd) è amico e factotum di un potente affarista   che corrompe il procuratore distrettuale  e influenza buona parte dell'opinione pubblica. Per ripulire la propria immagine in vista delle elezioni  l’imprenditore liquida lo scomodo legame con un gangster, per interessarsi dell'attraente Janet, figlia del candidato. Il giornale The Observer, controllato dal gangster, lo accusa  di un delitto e il procuratore si mostra solerte a cambiare bandiera. Ed, contattato dal gangster, rifiuta di fornire prove a carico dell'amico e per questo viene brutalmente pestato. Uscito dall'ospedale, Ed riuscirà a scagionare l'amico.

 


La giustizia ha la meglio su quel mondo corrotto,  e   Ed avrà l’amore di Janet.  Dashiell Hammett, autore del romanzo,  descrive  senza mezzi termini il mondo in putrefazione del potere. Ancora una volta concepisce un eroe che si mantiene   leale al valore dell'amicizia di fronte alle tentazioni del denaro e del successo e nonostante le minacce. Beaumont è molto simile al Sam Spade de Il falcone maltese, avvezzo alla falsità, ma fedele, senza esagerare,   al proprio codice etico.   Qui, senza perdere il gusto della narrazione, il giallo diventa specchio di quella società che Hammett aveva esplorato nel suo lavoro di investigatore. E, come i suoi personaggi, durante il maccartismo Hammett si manterrà fedele ai suoi princìpi, pagando con il carcere il diritto di denunciare ipocrisia e corruzione. La sceneggiatura è di   Jonathan Latimer, romanziere assai abile nel portare opere altrui sullo schermo, crea e inventa senza tradire il soggetto, ma la suspense viene spesso “depistata” dalla violenza. L'unico spazio al sentimento è aperto dalla collaudata coppia Ladd-Lake, cui è affidato il compito di chiudere con un lieto fine.

 

 


 

Il pestaggio di Ed, vale una sottolineatura,   viene rappresentato con una durezza che ci rimanda a Sergio Leone. Non solo per la violenza: in Per un pugno di dollari (costruito sulla trama de La sfida del samurai di Kurosawa, che era stato ispirato proprio da Piombo e sangue di Hammett) oserà, molti anni dopo, rappresentare un pestaggio simile, ma il western non è il noir: è come i fumetti, ci si crede meno! 

 

Si tratta di un eccellente remake,  nel 1935 era stata girata la prima versione (sceneggiata dallo stesso Hammett) con George Raft  come protagonista. Il dubbio è: Kurosawa si è ispirato a questo film o al secondo? Un bel dubbio, anche se , con Sergio Leone, vinse la causa che aveva intentato.


(Parte VIII - segue)

(Ritorna alla parte VII)

Nessun commento:

Posta un commento