mercoledì 15 aprile 2020

COVERMANIA (XXI)

 
COVERMANIA
 Un lungo affascinante viaggio dalle regioni del noir ai territori del west

XXI

Riprendiamo col logo e la testata di sempre. Questa volta mi voglio occupare di un connubio tra due geni uno esuberante e immaginifico, l'altro pacato ma insinuante e pervasivo sempre.
 Speciale su Hitch e Dalì


Due visionari: Hitchcock & Dalí

&

ma anche Rósza
Quando le tre arti definirono l’estetica del sogno


A volte accade che i geni entrino in contatto. Nel 1945, accadde uno di quei rari momenti:   tre forme d’arte dal respiro più popolare entrarono in eccezionale congiunzione creativa.


Rappresentate da tre personalità eccellenti del tempo: lavorarono insieme a qualcosa che poi passò alla storia. Cinema, pittura e musica. Hitchcock, Dalí e Rósza. Il set che li riunì fu per il film Io ti Salverò.   Tra gli altri vantava anche la presenza di Ingrid Bergman e Gregory Peck attori protagonisti.
Un film che divenne famoso soprattutto per aver partorito una delle rappresentazioni più affascinanti di sempre della sfera onirica. Non è cosa da poco che tre personaggi dal carattere forte riescano a limare il proprio orgoglio individuale in nome dell’arte.

Purtroppo dalle locandine si ricava poco, sono più focalizzate sulla storia d'amore (come questa francese) o sulle tracce parallele degli sci che sulla scenografia di Dalì, che pure era già famoso.

Hitchcock in quel momento aveva desiderio d'innovazione,  voleva un modo nuovo di rappresentare i sogni: non più "...la nebbia che confonde i contorni delle immagini" o ".. lo schermo che trema", ma "...tratti netti e chiari", contorni taglienti e immagini piene di luce, come nei quadri di Salvador Dalì e Giorgio de Chirico. De Chirico influenzò, ma non partecipò. Dalí, che aveva aderito con entusiasmo, fece derivare alcune immagini surrealiste del sogno dai film che aveva realizzato a Parigi con Louis Bunuel.
Non mi soffermerò su Miklós Rósza, compositore classico  ungherese.  Tra gli anni ’40 e i ’50 scrisse le musiche per alcuni dei film noir   più importanti del tempo (La Fiamma Del Peccato,  Doppia Vita).  Con la colonna sonora  vinse l’Oscar.

Salvador Dalí fu chiamato sul set in quanto massimo esperto nella rappresentazione figurativa del materiale onirico. A quei tempi era già una celebrità, per via di quel mix irripetibile di talento personale e capacità di auto promozione che lo ha reso uno degli artisti più amati del secolo scorso, ma anche oggi. Il surrealismo mirava a raffigurare i contenuti dell’inconscio, quasi come fosse un flusso di coscienza proveniente direttamente dai materiali che animano i sogni. Senza filtro, senza censure.


Il momento centrale del film di Hitchcock era proprio un sogno:  Gregory Peck lo descrive agli esperti psichiatri che lo stanno aiutando a recuperare la memoria perduta. Hitchcock intuì il momento e chiese a Dalí di disegnare le scenografie per quella sequenza di tre minuti. Sequenza che divenne cult: occhi che spuntavano dalle pareti e dai tendaggi, uomini senza volto e oggetti dai bordi contorti. Allo spettatore sembrava di stare dentro uno dei suoi dipinti. A dare maggior fascino all’intera scena l’aspetto psicologico: tutti gli elementi del sogno hanno un significato ben preciso, che verrà poi svelato in fase di psicanalisi e costituiranno la svolta finale del film. L’arte dell’inconscio sottoposta per la prima volta al processo di interpretazione scientifica. L’arte di Dalí non poteva ricevere legittimazione migliore.
A confezionare il tutto fu ovviamente il regista, Alfred Hitchcock, in uno dei tanti momenti di picco creativo avuti lungo una carriera che durò quasi sessant’anni. Non era ancora nel suo momento di massima celebrità (quello sarebbe arrivato negli anni ’50), ma aveva all’attivo già alcuni di quelli che poi saranno considerati capolavori del cinema in bianco e nero (Rebecca, L’Ombra Del Dubbio, I 39 Scalini, L’Uomo Che Sapeva Troppo, Il Sospetto). Sulla carta Io Ti Salverò poteva essere un successo annunciato, grazie soprattutto a  un cast che comprendeva personaggi molto celebri e alla presenza di Dalí e Rósza. Il tema però non era esattamente popolare: un film ad alto contenuto psicologico, ambientato per lo più in una clinica psichiatrica, con l’ambizione di rendere accessibili al grande pubblico delle nozioni allora considerate accademiche. Lui ci riuscì, giocando da maestro sul mistero, lasciando per tutto il film allo spettatore la curiosità di scoprire cosa si nasconde dietro ogni personaggio, mutandone la caratterizzazione, alimentando i sospetti e sfruttando i colpi di scena. Alla fine fu un bel successo, di critica e pubblico, con Ingrid Bergman Oscar per la migliore attrice protagonista. Anche Hitchcock fu candidato come miglior regista, ma, nonostante Hopper,   quell’Oscar non lo vinse mai.

(XXI - segue)



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