giovedì 9 aprile 2020

CUOCOINDAGA (02)

Quando il cuoco

indaga



storie conviviali  

per ragazzi d'ogni età
offerte
da
Oscar Montani
(02)

  Tanti minuscoli antipasti
(parte seconda)

Come ridurre il pericolo
Il Gran Ciambellano di corte,  Akhun Alaattin Lugulùm, per sua stessa volontà, gradiva, in quell'occasione, fare anche da  Gran Cerimoniere di corte. Per apparire più alto calza babbucce dorate coi tacchi.  Batté le mani tre volte per dare il via agli assaggi. Dovevano essere fatti in pubblico: che si vedesse bene quel che l’assaggiatore mangiava. Tharim si fece avanti con un gatto nero in braccio. Il Siniscalco, responsabile della tavola e diretto dipendente del Gran Ciambellano, tentò di fermarlo.
« Fermo! Rispetta il protocollo: non è il tuo turno, tu assaggi solo se il primo muore ».
Tharim s’inchinò verso Solimano. Attese che il Magnifico, con gesto solenne, gli facesse cenno di parlare.
« Grande Solimano, luce nella notte, stella dei tre mari di Costantinopoli, faro che illumina il cammino dei popoli, ascolta il tuo umile sevo. Al tuo seguito in Persia ho potuto osservare un’usanza dei nuovi   popoli che hai voluto guidare. Il loro modo di  assaggiare i cibi a corte mi è parso più sicuro del  nostro  ».
Solimano s’era fatto attento, ma non parlò, fece solo cenno di continuare. Tharim fu pronto: guai far attendere il Magnifico!
« Sire, lì i potenti facevano mangiare a diversi assaggiatori personali tutti i cibi in piccole porzioni. Ad ogni assaggiatore un cibo: così se succede qualcosa di brutto, si sa  da dov’è il veleno. Se uno solo li assaggia tutti e poi muore bisogna buttare tutto: uno spreco! »
Solimano era svelto con gli occhi: aveva visto che sulla tavola, davanti ai cinque vassoi, erano pronte cinque piccole ciotole. Dimostrò di essere ancora più svelto di   testa.
« Vuoi fare una prova? Qui, però, siete solo in due; come intendi fare? »
« Ho portato il mio gatto, grande esperto di veleni: farà tutto lui. Ma solo per oggi, s’intende. Solo per fare la prova. Domani di assaggiatori ne potrai mettere cinque, sei o quanti ne richiederà la tavola imbandita ».
Solimano fissò negli occhi Tharim. Il giovane resse lo sguardo del Magnifico: s’era creata un’intesa. Il sultano, nonostante il brontolare del Siniscalco, comandò di procedere. Tharim riempì le piccole ciotole di altrettanto piccole porzioni adatte al gatto, poi   mise il felino davanti alla fila di assaggi. Il gatto non si tirò indietro: ripulì alla svelta le prime tre ciotole. Si leccò anche i baffi poi,   annusata due volte con sospetto la quarta porzione, fece scattare quattro volete la coda e passò deciso alla quinta ciotola,  che divorò con gusto.
Solimano, cominciava a capire e si stava innervosendo; ma anche   si divertiva. Nei saggi e nei potenti, persone curiose, le due cose vanno spesso insieme.
« Che vuole significare? ».
Tharim rispose con voce tranquilla.
« Sire, aspettiamo un po’. Appena saremo sicuri che il gatto sta bene, ve lo spiegherò. Intanto per ingannare il tempo in modo divertente propongo a Vostra Magnificenza un indovinello. Sapreste indovinare chi ha portato ognuno dei cinque antipasti? »
Ci fu ancora un lungo sguardo d’intesa tra i due. Solimano decise di cimentarsi nel gioco.
« Le sardine sottoaceto è facile: la ha portate il primo Visir che è nato in un villaggio di pescatori dell’Anatolia. In pratica pescano solo sardine  ».
Il visir Mustafà  annuì onorato. Il sultano continuò.
« Il formaggio di capra non può essere che un dono del mio secondo generale, è figlio di un pastore del nord: lì allevano capre. I   calamari fritti così croccanti li fanno solo in Grecia la patria del mio  terzo generale. Ne restano  due.  Questi sono un pochino più difficili: crema di ceci  e tahini con qualche goccia di succo di limone e spezie da una parte;   tonno affettato e salato con un goccio d’olio, dall’altra. »
Divenne pensieroso e scuro in volto. Non perché non riuscisse a indovinare, ma perché c’era riuscito. Il suo sguardo andò al gatto che giocava con una nappa di seta. Aspettò in silenzio per un po’, quanto bastava per  esser certi che il micio non avesse problemi. Qualcuno sudava freddo. Dopo tanto silenzio la sua voce sembrò terribile.
« Il tonno l’ha portato il mio fido primo generale che viene dal fondo Dardanelli dove, spingendosi al largo,  pescano tonni. La crema di ceci, invece, è di... »
Stava per dire “Jafar Visir”, ma proprio lui lo interruppe.
« Sire, il mio cibo è pulito! »
« Mangialo, allora! »
Jafar prese la ciotola destinata al gatto e la riempì fino all’orlo di crema: voleva far veder che non aveva paura. Mangiò tutta la crema e poi si rifece. Sorrideva quando, mostrando fiero la ciotola vuotata per la seconda volta, si voltò verso il sultano per ottenere la sua benedizione. Non fece un passo: la ciotola cadde a terra e Jafar si mise una mano sullo stomaco. Mugolava.
« Stupido Kalim, hai avvelenato proprio il mio cibo... »


Il bieco traditore
Visir Jafar,  anche lui Giannizzero, odiava Solimano. Il perfido aveva pensato che fosse giunto il momento per cominciare a prendere il suo posto. Il banchetto era un’occasione per Jafar. Poteva avvelenare il cibo e  far incolpare il primo Visir Mustafà: così il suo potere sarebbe cresciuto e si sarebbe tolto di mezzo un potente concorrente. Kalim aveva sparso arsenico sul vassoio posto sulla tavola e poi mescolato le sardine per farlo sciogliere e amalgamare. Forse preoccupato di fare alla svelta, non s'era preoccupato che sul vassoio prima ci fosse un sole sole, ma neppure  di una tenda da sole che si era mossa.
Dietro la tenda c'era Tharim. Capito l’inganno, scambiò il vassoio di Mustafà con quello di seconda portata riposto nell’armadio. Portava male che qualcuno muorisse a un banchetto reale: il Magnifico poteva anche far impalare tutta la servitù! Poi mise nella crema di ceci un forte sale lassativo. Con quello non si moriva: si stava solo in bagno per tre o quattro giorni a raccomandarsi a Dio e... i bagni turchi, so per averli provati, non sono comodi come i nostri WC!
Dopo che Solimano si fu fatto spiegare tutto per bene ci furono alcuni piccoli, ma significativi, cambiamenti.
Jafar, non più Visir, fu nominato assaggiatore, lo avrebbe sempre affiancato, come secondo il suo fedele Kalim. Avrebbero mangiato con la mano sinistra: le destre erano state date in pasto alle tigri. Avrebbero anche lavorato strettamente affiancati: le loro caviglie erano legate tra loro con una catena di ferro lunga appena un metro. Il gatto acquistò il diritto di mensa: poteva mangiare tutto quello che avanzava e che era già testato: per lui una fatica in meno, ma il diffidente felino, prima, annusava lo stesso! Tharim, con la raccomandazione del Siniscalco, un grigio burocrate, di badare più ai sapori che all’estetica dei cibi, fu nominato quarto cuoco: il suo sogno si era avverato.


Lucie aveva cominciato ad assaggiare timidamente le sardine sottoaceto, che in Turchia si chiamano ançüz(*).  Aspettai un po’. Anche Samantha assaggiava curiosa, Lucie era passata al tonno e poi al  formaggio di capra: non dell’Anatolia, ma della Garfagnana. Stava per assaggiare l’humus(*).   Guardò Pino.
« Perché il gatto non volle assaggiare questa crema di ceci? »
« Tu che pensi? »
Annusò il cucchiaino pieno di humus e arricciò il naso. Avvicinò la crema alla bocca di gatto Noir. Il felino si girò dall’altra parte e saltò a terra con un miagolo di disapprovazione. Mi guardò sospettosa.
« Che ci hai messo? »
« Quello che ci deve stare: tanto aglio. L’aglio non piace ai gatti, Tharim lo sapeva e ci contava. »
Samantha, mentre rimetteva la ciotola al centro del tavolo, mi strizzò un occhio e sorrise.
« Scusa Pino, ma credo che non piaccia neanche alle bambine. »

(*) I nomi delle meze apparse nel racconto:

ançüz: sardine sottoaceto
beyaz peynir: formaggio di capra
humus: crema di ceci  col tahini e qualche goccia di succo di limone e spezie
lakerda: tonno affettato e salato 
kalamares: calamari fritti



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