Quando il cuoco
indaga
storie conviviali
per ragazzi d'ogni età
offerte da
Oscar Montani
(12)
Oscar Montani
(12)
Sei
Dolci
La torta a forma di scudo
La torta a forma di scudo
(Seconda parte)
Il progetto
La prima, da sei
porzioni, la confezionò in un attimo. La mise in frigo. Per la seconda, da otto
era incerto: rotonda o rettangolare? Rettangolo o cerchio? Era lì che si
lambiccava, quando si ricordò dello stemma appeso nella sala grande.
Prese il foglio delle
scritte, un lapis e andò furtivo al tabernacolo. La sala era deserta, poteva
prendersela comoda. Appoggiò il foglio sulla mensola di marmo rosa e spostò a
sinistra il lumino rosso. Appena cominciato a copiare la croce, una voce
baritonale dietro di lui lo bloccò. Eppure un secondo prima non c’era nessuno!
« Cosa fai? »
Giuseppe si voltò. Un
uomo imponente, altissimo, vestito con una casacca bianca era apparso dietro di
lui. Sulla casacca aveva una croce rossa contornata di quattro piccole croci:
uguale a quella della porcellana appesa dentro il tabernacolo. Indossava anche grandi
guanti ferrati che gli coprivano il gomito e degli strani stivali di metallo.
Non era un metallaro: sembrava piuttosto un antico guerriero. Eppure carnevale
era passato da un mese. Giuseppe decise di far finta di niente. Mostrò il
foglio con il disegno abbozzato.
« Copio il disegno per
preparare una torta da otto. »
« Vorresti fare una
torta a foggia di scudo? »
Giuseppe non seppe far
altro che annuire.
« Sei audace e anche
bravo! »
« Veramente a cucinare
mica tanto! »
« Ed anche modesto!
Solo ad uno nuovo può venire un’idea così stramba! Però! Tu mi potresti
salvare. »
« Scusi. »
« Niente. Non hai lo
sguardo molto acuto, ma sarò costretto a fidarmi di te! »
Giuseppe cercava
invano di guardarlo negli occhi. La strana sensazione che quel volto fosse, in
qualche modo, trasparente gli faceva lo sguardo come fisso nel vuoto. Non disse
niente. Sapeva che un precario non doveva mai farsi notare : né per le idee, né
per quello che vedeva. Soprattutto con i datori di lavoro e quello, per quanto matto
fosse, sicuramente doveva essere uno dei padroni.
« Cosa dovrei fare? »
« Fare una torta
pulita e soprattutto; pulire la cucina. »
« Io le torte mica le
sporco e... la cucina mi sembra uno splendore. A dire la verità non ne ho mai
vista una così pulita. »
« Scusa, piccolo
cuoco, non puoi capire. Devi buttare via tutte le farine di grano che trovi.
Nei cassonetti che ci sono fuori. »
« Ma, se mi vede
Frederich, mi manda via! »
« Frederich, anima
dannata, pensa di poter comandare! Il padrone sono io. Tu devi fare come ti
dico, così potrò ritornare in cucina e insegnarti a preparare una torta a scudo e poi
anche a cucinare. Prima fai pulizia: tutte le farine di grano. Non le tollero! L’intolleranza
mi rende nervoso: appena sento il glutine su per il naso mi viene voglia di
tagliare qualche testa. »
Solo allora Giuseppe
si accorse della spada a fianco del guerriero.
« Va bene, va bene, se
lo dice lei. »
L’uomo lo fissò nel
profondo degli occhi. Ebbe come l’impressione che quello sguardo si fosse
acceso di una luce rossa. Di rosso color lampone e forse lampeggiava. Si sentì
gelare. “Non potrò mai diventare padrone
di un ristorante di lusso!” si disse “Non
so essere così autorevole!”. La voce dell’uomo tuonò terribile.
« Guarda dappertutto
e, se ti capita di versarne anche un solo pizzico: lavala via! Non deve restarne
traccia. »
Giuseppe aveva
abbassato la testa, ma conservava un residuo d’orgoglio: terminò lui la frase.
« ... niente farina di
grano, niente glutine... ok, un attimo che finisco. »
La sua voce aveva eco
metallici. In un attimo finì di copiare il disegno. Rimise al centro della
nicchia il lumino rosso. Alzò la testa e si guardò intorno: la sala era di
nuovo deserta. “Come ha fatto a sparire
così, senza far rumore?” si chiese. Si pentì subito. A che serviva farsi
domande: un cuoco precario doveva ubbidire e basta.
Meno male che la
cucina era deserta. Aprì ogni cassetto, spalancò ogni armadio, frugò nel
ripostiglio fin sopra alla mensola più alta. Alla fine fu certo di aver buttato
via tutta la farina. Mentre lavava tutti i ripiani e il pavimento, un turbine
di pensieri gli tormentava la testa. “Sto
facendo bene?”, “Mi sto cacciando in
un guaio?” e altro. Alla fine credette d’aver capito una cosa: doveva
indagare. Interrogare quel “travestito”. Ritornò furtivo in sala col suo foglio
in mano e spostò di nuovo il lumino rosso. Non si meravigliò neppure un po’ nel
vedere apparire il padrone vestito da antico guerriero. Eppure avrebbe dovuto:
all’inizio era trasparente, un’ombra diafana;
solo dopo un po’ sembrò solido e tuonante come prima.
« Che vuoi? Hai fatto
quello che ti ho comandato? »
« Sì: è pulita. »
« Hai guardato nella
credenza? »
« Ci ho trovato due
sacchetti: buttati. Perché mi ha fatto fare questo ripulisti? »
« Servo della malora!
Infimo cuoco! Indecorosa zecca! Tu chiedi
a me, Guglielmo Pirroniche de Finisterre, cuoco di Luigi XIV, Grande
Cavaliere del Santo Sepolcro di svelarti
i segreti della mia casata! Ora devi
preparare dei pani di fecola di patate per fare la torta “pulita”. »
« Di pani ne ho tanti
già pronti. »
« Quelli! Sono fatti
di farina di grano: non vorrai disegnare la croce di Gerusalemme su
dell’ignobile glutine. Taci e ascolta: devo dettarti le scritte. »
Giuseppe stese il
foglio sul marmo rosa. Si sentiva già a disagio, ma quando Il Gran Cavaliere
cominciò a dettare, stette subito peggio.
« “Dieu
le veut”... »
« Scusi, scusi... non
ho capito. »
« L’altro s’era
parecchio innervosito. Dolce, Insalata, Erbette, Uccellini: DIEU.
Capito ora? »
Ci volle un po’, ma riuscì
a scrivere tutto, anche quella lunga che veniva dopo: “Oportet gloriari in cruce domini nostri Iesu Christi!”.
Il sedicente padrone
sbuffava. Gliele fece rileggere. Giuseppe non ne poteva più di quel misto d’arroganza
e pignoleria. Con mossa lesta rimise il lumino al suo posto al centro della
nicchia. Era come azionare il telecomando: l’antico guerriero sparì
all’istante. Non i sospetti nella testa di Giuseppe, che invece erano aumentati.
Aveva appena finito di
preparare un meraviglioso sciroppo rosso fuoco di lamponi e more, quando sopraggiunse Frederich. Non si accorse
di nulla. Giuseppe aveva pulito davvero bene
le tracce di farina. Il capo cuoco si mise a guardare gli scavi a croce
sulla torta.
« Che idea
meravigliosa! I tedeschi l’apprezzeranno. Bravo, hai fatto svelto ed è anche un
bel lavoro. Ora dobbiamo riempirlo con lo sciroppo. Prendilo. »
Frederich ci doveva
tenere parecchio: riempì di persona tutti i vuoti a croce. Alla fine la croce
dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme sulla torta pareva
uguale a quella dello scudo.
« Ora la scritta. Mi
raccomando, non fare errori: pensi di farcela da solo? »
Giuseppe si sentì
addosso lo sguardo di Frederich, ma
anche la minaccia oscura del Gran Cavaliere.
« Certo: ormai ha
visto di cosa sono capace. »
Mentre Frederich
usciva si sentì mancare.“Maremma boia, e
ora?”, si chiese. Non si perse d’animo. Ritornò furtivo al tabernacolo.
Spostò il lumino per far apparire il fantasma: ormai era certo che lo fosse.
« Dannazione, dove sei
stato? »
« A preparare la torta
e lo sciroppo rosso. »
« L’hai fatto con
addensanti senza... »
« Certo... senza
glutine e niente farina di grano... ok, ormai ho capito, lo so. »
« La cucina è pulita? »
« Pulitissima, ma voi
potete anche restare qui. »
« Qui? Sciocco servo:
ho aspettato 320 anni, due mesi e tre giorni per tornare in cucina. Pensi sia
piacevole stare dietro uno stemma a guardar mangiare la gente? Taci non discuto coi servi! Appena mi vedi passare la
porta della cucina rimetti a posto il lumino e
“speriamo bene”! »
Funzionò: il fantasma non
fu attratto indietro: restò in cucina. Arrogante come prima e più di prima.
« Non hai ancora fatto
le scritte! »
« Lei si metta un
attimo da una parte che rimedio subito, tanto ormai le so a mente. »
Giuseppe aveva appena
terminato di scrivere “Christi” che
sentì di nuovo la voce tonante.
« Fatti indietro, devo
mangiarla! »
« Come mangiarla? E,
il compleanno della signora tedesca? »
« Ne farai un’altra:
questa la devo mangiare io. E’ l’unico modo per cancellare la maledizione della
strega, la perfida Harina Gluten de Trigo. Voleva far la cuoca nella mia
taverna, io la mandai via. Suo padre,
tal don Rodrigo, era uno scellerato. Lei era anche più perfida. Tornò di notte
e, mentre dormivo, mi cosparse di farina: fu allora che divenni intollerante. Solo
mangiando una Croce pulita posso iniziare
il mio percorso di salvezza. Di mia volontà devo anche trasmettere la mia arte,
poi sarò davvero libero... »
Cominciò a divorarla.
Non era il dolce più adatto per un fantasma vestito di bianco e pasticcione:
presto s’era sporcato di rosso dappertutto. Cominciò anche a svanire: allora
funzionava! Giuseppe ci rimase male.
« Scusi, se ne va via
così? E’ questa allora la sua volontà? Pensavo dovesse rimanere a insegnarmi a
cucinare? »
« Tu pensi troppo! Mica
vado via. Sparisco e basta: se no che fantasma sarei. Tu non mi vedrai, ma mi
potrai sentire. L’unico che potrà ascoltare la mia voce. Segui i miei consigli.
Ti farò far carriera infimo cuoco precario! Ora rifai la torta per la tedesca. »
Giuseppe,
sbuffando, si mise a rifare la torta.
Non sentì nessuna voce fino a che non ebbe terminato di scrivere la parola “Geburtstag”: questa volta aveva rispettato gli ordini di
Frederich. La voce di Guglielmo era un sussurro.
« Bene, ora prepariamo
qualche crêpe. »
« Crêpe? Che
sarebbero? »
« Sarebbero... che sei
ignorante come una capra. Dopo 320 anni, mi poteva capitare anche un allievo
migliore, ma ho promesso. Ti è avanzato un sacco di sciroppo di lamponi e more:
le condirai con quello e Frederich le apprezzerà. »
Fu così che cominciò
la gloriosa carriera di Giuseppe, ex cuoco precario, alla Terrazza dei
Cavalieri.
Lucie batté le mani.
« Mi è piaciuta tanto. Anche noi mangeremo la torta
che ci fa sparire? »
« Vi confesso che una piccola tentazione ce l’ho
avuta. Poi ho pensato che era uno sforzo inutile. Domani mattina vengono a
prendervi e dovrei fare una “contromagia”. »
Misi in tavola una splendida torta a forma di scudo:
sopra spiccavano cinque croci di tenero lampone.
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